Il power imbalance nelle discussioni social

Daniela Barisone
5 min readDec 29, 2024

E perché è una cazzata atomica.

Come ormai ben sapete, io scrivo articoli in reazione a cose che mi accadono irl oppure online, mi piace raccontarle in modo da generare un dibattito e anche per svagarmi dalla sfiga della vita vera.

Ma incominciamo subito con…

L’antefatto

Tempo fa incappo in un post su Instagram. Non è importante cosa o chi, ma per inquadrare la cosa era semplicemente il post di una mia amica che gestisce un account dedicato a tematiche che a me interessano e quello che fa lei a me piace.

Di solito Amica ospita nei commenti discussioni più o meno gradevoli, gente che parla delle proprie esperienze/ricordi riguardanti l’argomento in oggetto, bla bla bla.

Sta di fatto che apro la sezione commenti per scrivere qualche cazzata e mi ritrovo il messaggio, sgradevole e fuori luogo, di un’utente che potremmo definire una che ga el don de capì nagott, come si dice a Milano.

Ora, non è importante come poi si è evoluta la discussione perché credo sia stata cringe a sufficienza, ma c’è una cosa che ha detto (insieme a un altro paio di persone) che ha fatto nascere la mia intenzione di scrivere questo articolo.

In sintesi, quello che è stato detto è che avevo commesso un overstep (ovvero avevo oltrepassato il limite) interagendo con una persona con meno follower di me, generando del power imbalance.

Potete ben immaginare il mio “ma che cazzo dici” forte e chiaro nelle vostre menti.

Di cosa stiamo parlando

Il power imbalance è quella situazione per la quale (oltre ad averci scritto sopra mille romanzi) una persona ha più potere nei confronti di un’altra.

Nella vita vera, il power imbalance può essere quando intrecciamo una relazione amorosa con il nostro datore di lavoro. O con il nostro professore. O tutti noi nei confronti di Jeff Bezos. Insomma, per una questione di soldi e di potere lavorativo o politico siamo in difetto rispetto a qualcun altro che, di conseguenza, ha su di noi il potere di cambiare la nostra esistenza economica e/o lavorativa in meglio o in peggio.

È chiaro che questi sono esempi e si può applicare il termine a molto altro.

I GenZ invece si sono inventati il power imbalance sui social media. O meglio, hanno completamente distorto il concetto di “la satira si fa dai piccoli verso i potenti” che, come tutte le battaglie serie portate sui social, si è completamente annacquato per arrivare a me, qualche giorno fa, e sentirmi dire che in quanto persona con 3000 follower su Instagram non potevo permettermi di parlare con una persona che me aveva solo 300 e questo era un grosso overstep da parte mia.

Già fa ridere così.

Lo so.

Me ne rendo conto.

Così come mi viene in mente il sempiterno discorso di Manuelone (lo sapete che se non parlo di lui almeno ogni otto ore mi viene un aneurisma) riguardante l’ossessione delle persone per i numeri, una sgradevole conseguenza del vivere con i social.

Questi maledetti numeri

Vediamo i risultati dell’ossessione per i numeri in tutti i campi: l’editore che pubblicherà il tuo fumetto solo in base alla tua presenza social, l’evento che ti farà accedere solo se hai un determinato numero di follower, la gente che crede che sei un musicista di successo solo in base al tuo numero di streaming su Spotify e così via dicendo.

E, seguendo questa benedetta legge dei numeri che definisce ormai chi siamo in base a quanto engagement produciamo e non in base alla qualità di quello che abbiamo detto/fatto/pensato, secondo quest’utente io sarei una persona di potere perché avevo ben 3000 follower.

Che non sono un cazzo di niente, nel mondo dei social. Non sarei di potere nemmeno se ne avessi 10k e ottenessi la spunta blu. Ma non lo sarei nemmeno se ne avessi 100k.

Non dovrebbe stupirmi: di recente mi è stato detto che se un libro vende 10k copie sicuramente ne vale la pena, mentre qualsiasi altra cosa no. Che quel libro ha un valore effettivo legato ai suoi dati di vendita, quando sappiamo benissimo che quasi sempre è vero il contrario (raramente una cosa di alto valore diventa popolare).

Sarà che la mia è la generazione che è riuscita a vivere serenamente metà della propria esistenza senza internet (o in dosi estremamente moderate) e di conseguenza so quanto poco contino quei numeri, ma quello che mi spaventa sono le conseguenze di un processo mentale nelle nuove generazioni che difficilmente scardineremo tanto presto.

Sei solo un numero

Per la prima volta nella mia vita sono stata percepita come qualcosa che non sono per una cosa del tutto indipendente da me, ovvero la quantità di persone che hanno cliccato segui sul mio profilo.

Poco importa se quei 3000 follower sono principalmente parenti, amici, colleghi, ex colleghi, conoscenti, lettori dei miei libri (perché sì, non dico che li conosco tutti, ma una potenziale metà sì). Poco importa se quello che conta di me è la reputazione che mi sono costruita a prescindere dai social media.

Tutto è ridotto a un numero e non sei altro che quello.

Anni fa Netflix rilasciava la serie tv Black Mirror. In un episodio della seconda stagione, la protagonista passava le pene dell’inferno perché tutta la sua esistenza e la percezione che gli altri avevano di lei era relativa al gradimento social assegnatole dagli altri utenti e che niente aveva a che fare con lei come persona, obbligata a compiacere gli altri per non far abbassare i propri numeri.

In un altro episodio di The Orville (un capolavoro, guardate tutta la serie), l’intera società era identica alla nostra se non per questo piccolo dettaglio che ogni aspetto della vita era scelta tramite social (con un bel riferimento a quel masterpiece che è Idiocracy) e il gradimento delle persone poteva essere anche la causa di morte di altri.

Abbiamo sempre guardato a queste cose come prodotti di fiction, senza però capire che in realtà questa distopia è già qui e sta plasmando le menti dei più giovani. In particolar modo perché questa percezione del tutto sballata era aggravata dal fatto che solo io stessi mandando avanti la conversazione. Nessuno dei miei fantomatici 3000 follower è intervenuto, ma per questa persona era come essere assediata da tutto l’esercito solo perché era convinta che io ne fossi il generale.

Ora. Io non voglio essere crudele, ma a me pare roba da TSO.

Le conseguenze

Mi pare evidente che ci siano delle conseguenze (e pure di una certa gravità) a fronte di tali comportamenti. Ci sono già, alla fine. Lo vediamo tutti i giorni quando un grosso editore prende un libro demmè da Wattpad e lo pubblica così com’è (come pensate si sia generato il fenomeno del romantasy?) perché ha un elevato numero di visualizzazioni.

Lo vediamo quando il marketing dei prodotti è stato affidato agli influencer che hanno alti numeri di follower invece che a degli esperti di pubblicità.

Lo vediamo quando nella testa delle persone “tante copie vendute/tanti ascolti/tanto qualsiasi cosa” diventa l’equivalente di alta qualità o di successo.

Quindi avremo più persone che fanno arte, ma in realtà qualsiasi altra cosa, persino leggere libri, solo per inseguire la “fama e successo” garantita dai numeri invece che fare le cose per motivazioni solide. E avremo persone che misurano l’importanza, il valore, la morale e la tempra di qualcuno non in base a quello che fa, ma in base a un numero su un profilo social.

La distopia è già in casa nostra.

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Daniela Barisone
Daniela Barisone

Written by Daniela Barisone

Italian, 39. Writer for Lux Lab & Quixote Edizioni. Fanwriter and proud. https://beacons.ai/danielabarisone

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