Il Salone che vorrei

Daniela Barisone
23 min readMay 16, 2024

Reportage di “Game of Thrones — Salone del Libro Edition”

Domenica 12 maggio sono stata relatrice con Sara Speciani, Camilla Cosmelli e Liliana Marchesi (entrambe autrici self) all’evento Il Salone che vorrei.

Tuttavia vorrei approfittarne per scrivere anche un reportage della mia totale esperienza al Salone di quest’anno per fare un post forse molto lungo, ma perdurerete fino alla fine, lo so. Lo farete perché non ho voglia di scrivere due post diversi.

Giovedì

Come tutti gli anni, mi reco a Torino il primo giorno di Salone insieme al mio collega Andrea Santucci (scrittore di gialli, nonché mio coautore) per vistare gli stand con il rigore militare che mi contraddistingue, ovvero partendo dal fondo della prima fila e facendo avanti e indietro. Non c’era caos, in compenso c’erano le scolaresche e mi sono ricordata perché non ho e non avrò mai figli.

Il giovedì è la giornata migliore per scoprire nuovi editori: le persone in stand sono più fresche ed entusiaste, ci si può fermare a farsi raccontare i progetti editoriali e per gli scrittori è anche un buon momento per andare da quegli editori che accettano pitch e manoscritti in fiera (informatevi sempre prima su chi offre quest formula, mi raccomando).

E, come sempre, visitiamo esclusivamente stand di piccoli e medi editori. Andare al Salone del Libro per andare allo stand della Mondadori o della Feltrinelli o andare a comprare gli Adelphi quando intorno a noi, tutti i giorni, ci sono solo librerie di questi due marchi editoriali è abbastanza ridicolo. Al Salone ci si deve andare per scoprire quei libri che in libreria non si trovano, altrimenti andavo al supermercato.

Il mio problema di quest’anno è che ero schiscia di soldi, quindi l’idea era di non comprare proprio libri, ma di prendere appunti su cosa avrei ordinato online successivamente. In compenso sono tornata a casa con tre libri, di cui uno regalatomi dal Santucci.
I libri sono:

La self area (o meglio: Area Pro) è stata la mia ultima tappa, lasciata apposta alla fine perché, cito il Santucci, “se ti stanchi abbastanza prima poi non rompi i coglioni dopo”.

Ci sono molte differenze rispetto alla self dell’anno scorso, ma di questo vi parlerò dopo.

Ho inoltre scoperto che hanno mozzato la colonna di libri farlocchi davanti a cui tutti vanno a farsi le foto e che il Salone ha stampato delle mappe cartacee che però dietro avevano solo sponsor e non la legenda degli editori, rendendola di fatto inutile se non come ventaglio.

Foto del Santucci davanti alla colonna di libri mozzata per farlo sentire booktoker per un giorno

Sabato

La giornata doveva essere dedicata all’andare a Torino insieme alla mia amica polacca (è la quota esotica delle mie amiche, eh) e alla mia amica bolognese e fare le hipster in giro per Torino insieme al mio fidanzato mangiando gelato gourmet prima di avvicinarci mollemente al Salone (lo scopo era, stranamente, andare a sentire Manuel Agnelli, con la quale saprete che ho una relazione complicata) e poi volare a fare una cena in modo tutto molto bohémien.

Stocazzo.

C’è chi sa cosa è successo qui quasi un anno fa e chi mente.

Nella notte di venerdì sera il mio ultimo dente del giudizio ha deciso di suicidarsi dopo quasi vent’anni di onorato servizio e di sbriciolarsi in modo dolorosissimo.

Sabato mattina sono stata quindi operata al pronto soccorso dentistico e lasciatemi dire: il dente ha fatto male, ma mai come strisciare il bancomat dopo.

Ma avevo da vedere Manuel, niente e nessuno si sarebbe messo tra me e la sua chitarra scordata dopo essere riuscita a beccare la prenotazione per un pelo.

Dopo aver mangiato gelato tutto il giorno per ovvi motivi, ci siamo mosse verso il Lingotto nel tardo pomeriggio solo per trovarlo inaccessibile (ma chi era dentro non poteva nemmeno uscire, sia dal Salone che dal parco commerciale) a causa di una (giusta) manifestazione pro Gaza. Abbiamo ascoltato un po’, per poi farci tutto il giro intorno al Lingotto sotto al sole cocente per poi riuscire, con molta fatica, a entrare dall’Oval.

La mia esotica amica Anna non ha potuto visitare il Salone perché abbiamo preferito accasciarci esauste a fare la coda al palco live, in compenso abbiamo potuto ascoltare il boomer del nostro cuore ripetere sempre la stessa con sempre le stesse identiche parole (invecchia pure lui, suppongo) e a farmi girare gli occhi all’indietro come una slot-machine.

Ci ha però regalato l’esibizione di 5 canzoni (1979 dei The Smashing Pumpkins con una chitarra accordata al contrario, Quello che non c’è, Padania, Milano con la peste che mi ha fatto venire la pelle d’oca dall’intensità, e una Male di miele che pareva sentire Trent Reznor cantare Closer) che sono valse come un concerto intero.

Alla fine di tutto ne è valsa la pena, cazzo.

Credo fosse sbronzo
Credo fosse sbronzo

Alla fine siamo andate via e sono passata davanti all’ingresso del Pad.3, con la fiera completamente vuota e ho avuto un attimo di rimembranza. In questi giorni mi sono sentita dire che io non capisco un cazzo di fiere, che non so come si organizzano, che non so come si partecipi, che non so un sacco di cose.

Ma io dentro a questo padiglione ci ho fatto così tanti Torino Comics da standista e da self publisher che non mi ricordo nemmeno più quanti. Però no, non so niente in effetti.

Il riposo del leone

Domenica

Domenica ero più medicinali che persona, di conseguenza posso dire che ero veramente rincoglionita. Non so come ho fatto ad arrivare alla fine della giornata e anche durante il panel mi sono resa conto di dissociare mentre parlavo, ma l’abbiamo portata a casa. Forse però è stato un bene, conoscendomi.

Dopo aver fatto gli occhioni al mio moroso, mi è stato donato un altro libro, Body Act di Rote Zora, edito da Agenzia X, una casa editrice che a me piace tantissimo (ho altri libri loro) e di cui ascolto sempre volentieri le presentazioni quando le fanno da Germi, che espone uno scaffale con una vasta selezione di loro titoli. È stato anche l’unico editore a propormi uno sconto.

Del panel Il Salone che vorrei vi parlerò dopo, mentre la nostra giornata si è conclusa con l’impossibilità di prendere il treno per Milano fino alle 9 di sera e tra una cosa e l’altra sono tornata a casa alle 23, quindi potrete immaginare da soli l’umore che avevo e che ho ancora adesso mentre scrivo queste parole.

La self area quest’anno

Il mio primo impatto con la self area quest’anno è stato decisamente più positivo rispetto all’anno scorso. Ho accidentalmente cancellato l’unica foto che avevo fatto perché figurarsi se andava tutto bene, ma sono certa che ne troverete altre online.

Alcuni libri al tavolo romance, tra cui Amore e Riscatto e Destino e conseguenze della mia collega Leah Weston

Prima di tutto la posizione è molto migliore rispetto all’edizione 2023: non stiamo più parlando di un recinto, di una riserva indiana, ma di un’area molto ampia e posizionata in un punto di largo passaggio del padiglione, soluzione che a mio avviso andrebbe mantenuta perennemente.

Non solo ora è più facile da trovare, ma c’è anche uno stacco più netto e distinto rispetto al resto dell’area pro dove invece ci sono le altre realtà professionali che non c’entrano nulla con la self area. E a proposito di questo: sarebbe bello che l’anno prossimo venissero ospitati anche professionisti che offrono servizi per il self publisher (distributori, comunicati stampa, ecc). Magari c’erano eh, ma non sono riuscita a trovarne.

I generi dei libri erano meglio segnalati rispetto allo scorso anno (ma si potrebbe migliorare, elaboro dopo) ed è stata effettuata una rotazione nei giorni in modo che non sempre gli stessi libri avessero la visibilità “migliore” (ovvero l’affacciarsi sul corridoio principale).

Sulla questione dei generi: i cartelli erano molto più chiari, io però vorrei soffermarmi un attimo sulla questione romance (perché è quella che mi compete di più), giacché i libri appartenenti a questo genere erano un po’ di più rispetto agli altri. Prima di tutto Romance “tradizionale” e Romance LGBT+ andrebbero divisi con due cartelli specifici. So che all’occhio meno esperto possano sembrare la stessa cosa (alla fine è sempre romance, no? No.) ma non è così. Nella maggior parte dei casi chi legge uno non legge l’altro e non vuole metterci le mani sopra nemmeno per sbaglio. Questo comporta vendite perse.

Poi ci sarebbe da fare il distinguo tra romance contemporaneo, fantasy e storico, ma qui sarebbe troppo complicato.

Il libro Oltre la maschera di Federica Martina di cui ho realizzato la cover e un pezzo di Let’s twerk! di Melanto Mori

Un altro problema è stato segnalato dalla mia collega Elena Taroni Dardi durante il panel, ovvero il fatto che erano presenti molti libri che non avevano la trama sul retro del libro (ma nemmeno in una delle prime pagine del volume, come si usa fare all’americana), causando così vendite perse, in quanto chi era presente a vendere non sapeva rispondere al cliente in quanto non autore del libro.

Poi un’altra cosa che ho notato è che se dobbiamo parlare di “selezione” e di “qualità” dei volumi esposti, qui di strada ce n’è da fare ancora tanta. C’erano dei libri con delle copertine inguardabili (che è un problema anche di tantissimi editori presenti al Salone eh, c’erano cose che è meglio non ricordare), cose che da illustratrice mi hanno fatto venire la pelle d’oca.

Un altro dei problemi che sono rimasti sono gli autori assiepati dietro i tavoli come soldatini. Sono troppi, anche con le turnazioni, e la maggior parte sono molesti nonostante l’organizzatrice li abbia ripresi più volte. Questa pecca rovina veramente quella che invece per il lettore ignaro (nonché digiuno di self publishing e altro) poteva essere un’esperienza migliore e “più ariosa” rispetto lo scorso anno.

L’antefatto

L’anno scorso ho scritto un articolo sul Salone del Libro di Torino e sulla self area che è stato molto divisivo perché mi ha portata a litigare con un sacco di gente, a sentirmi dire che le mie idee su tale area sono cazzate e a inimicarmi la direzione del Salone, che ora pensa che io sia una talebana dell’editoria (no, sono solo anarchica).

È stato proprio questo mio articolo il motivo per cui sono stata invitata a questo panel e alla volontà di Sara non tanto di farmi cambiare idea, bensì di spiegarmi le motivazioni dietro alcune scelte. Sarò sincera: farlo con la persona che organizza, che tocca con mano le problematiche e che, devo dirlo, fa anche del suo meglio per accontentare tutti, è stato rinfrancante.

Quindi in questi mesi ho pensato molto a quello che l’anno scorso non mi era piaciuto e ho cercato di essere propositiva anche in base alle problematiche che Sara si era premurata di spiegarmi, dati alla mano. È stato un lavoro complicato, perché come sempre c’è il problema dei soldi. A queste cose ci sono persone che lavorano e queste persone vanno pagate. Non si può dare per scontato che ci sia un budget illimitato, per cui ho cercato di concentrarmi su aspetti che fossero quanto meno a basso costo se non a costo zero.

In questi mesi ci sono stati problemi anche di altro tipo, come appunto al Salone che non sanno cosa sia l’ironia e il sarcasmo, visto che in base a questo mio post qualcuno ha pensato di credere che sarei andata lì con la kefiah in testa urlando “Allah akbar” con un coltello in mano.

Invece mi sono sentita dire “sei stata così democristiana che tra un po’ ti cresceva lo scudo crociato sul petto”. Vedi te come va la vita quando sei più medicine che persona.

Il Santucci ha celebrato l’evento creando questo meme

Ho passato anche qualche giorno in quei gruppi che io chiamo “disagio” e che raccolgono frotte di scrittori o aspiranti tali, molti self publisher. Ho rischiato davvero di trasformarmi nella figura che urla “Allah akbar” di cui sopra, perché è incredibile come persone che si suppone campino di parole, siano così ottusi e stupidi in circostanze in cui si richiede di mettere da parte l’orticello personale per il bene comune.

In tanti mi hanno detto che “servirebbero criteri di selezione diversi!” che alla mia richiesta di argomentare QUALI stramaledetti criteri siano mi hanno risposto “criteri diversi”. A oggi ancora non so che diavolo di criteri intendessero, non sono mai e dico MAI riuscita a ottenere una risposta decente che non fosse l’equivalente di “mio libro bello, altri libri caccapupù”.

Davvero, pochi giorni in questi gruppi e sono giunta alla conclusione che al Salone farebbero proprio prima a nuclearizzare l’area self. E viste le varie circostanze che hanno preceduto questo evento, sarebbe un bene per tutti.

Ho ricevuto un (1) criterio di selezione da parte di un’editrice che non ho messo a programma, in quanto non poteva funzionare. Purtroppo, quando si lavora in ambito romance, è facile scordarsi che termini di selezione come “popolarità”, “numero di recensioni” e “numero di vendite” non sono un discrimine utile perché semplicemente negli altri generi (ma anche nei sottogeneri dello stesso romance) non funziona così. Inoltre è molto facile, soprattutto negli altri generi, che spesso si parli recensioni comprate o di classifiche falsate a libri che sono veramente di merda (non ho bisogno di dirvi di chi sto parlando, sapete già). Inoltre odio dirlo, ma il pubblico del Salone non è quello del Festival del Romance.
È stato comunque interessante, sebbene non applicabile.

Chi sono

So bene che questo articolo arriverà a gente che, giustamente, dirà ma tu chi cazzo sei, a che titolo parli? ed è giusto così.

Nella mia vita ho fatto tante cose: la redattrice editoriale per due case editrici, ho avuto un blog letterario che ho chiuso perché mi ha fatto venire la PTSD, ho avuto una crisi mistica che mi ha portata a mollare l’editoria per lanciarmi nel fumetto, mi sono diplomata in Fumetto e Colorazione digitale alla Scuola Internazionale di Comics di Torino (presente al Salone pure quest’anno), sono diventata colorista, ho lavorato per Arancia Studio, ho ritrovato l’amore per la scrittura, ho fondato il mio collettivo di scrittrici indipendenti di Romance LGBT+ LUX LAB, scrivo libri per Quixote Edizioni (quest’anno presente al Pad.3) e attualmente traduco libri romance LGBT+ e illustro copertine. Ogni tanto sono assistente di un’attrice che disgraziatamente interpreta pure le cose che scrivo, ma in generale mi occupo di scrivere romance.

Ho anche però scritto una guida: “Self-Publishing per negati: Come autopubblicare ed essere felici di non aver fatto disastri” in cui ho raccolto in modo asciutto e agevole tutti i miei segreti per fare un self-publishing di qualità. Ho aggiornato all’anno 2024 il volume, con una parte sulle AI e anche sul sapersi vendere agli eventi.

Sono iscritta anche al CSU, il Collettivo Scrittori Uniti, che dubito mi vorrà ancora dopo questo panel. Io però vi consiglio di iscrivervi se siete autori self.

In tutto questo ho fatto tante fiere. Sia per i libri come editore che come self per il fumetto. E ora come self per i libri di Lux Lab. È dal 2011 che macino fiere, che tratto di autoproduzioni, realizzo pure il mio stesso merchandising, e che vivo e respiro l’underground culturale del mio settore.

Il self publishing è stato per anni quello che mi ha dato da mangiare, detta in breve e fuori dai denti. Sia in forma diretta (le mie opere d’ingegno) sia indiretta (ho realizzato le copertine di altri self, ho fatto da editor, ho impaginato i loro libri).

Non penso di essere la persona più qualificata per parlare, come me ce ne sono tanti altri. Non ho numeri enormi, ma parafrasando il vate “se non fai San Siro non sei nessuno. E anche un po’ sticazzi”.

Sono una grandissima rompicoglioni e sono pure un’idealista. Sono figlia di uno che ha sempre fatto politica e lottato per il bene comune del suo paesino di quattro sfigati nell’hinterland milanese. Dunque non rompo il cazzo per tornaconto personale, perché a me non interessa avere i miei libri al Salone, ci sono già in ogni caso. Lo faccio per gli altri, per quelli che non hanno la stessa potenza di voce, che non vengono ascoltati o che non sanno nemmeno loro che ne hanno bisogno. Lo faccio per un motivo e lo dico con una citazione di un libro di Ju Maybe (che era anche presente al panel, grazie!):

È che ci teniamo, Damià.

Il Salone che vorrei

Il Salone mi ha anche fatto sapere che IO non potevo registrare l’evento e così è stato. Ci hanno pensato a Ultima Pagina invece. La registrazione è integrale e senza tagli, per evitare “strumentalizzazioni”, come è stato insinuato.

Purtroppo non ho avuto il tempo di esporre tutto quello che desideravo perché naturalmente il tempo era poco per tutte. Tuttavia mi preme rispondere a posteriori a un paio di questioni emerse a cui però non ho avuto modo di rispondere. Ovviamente i commenti a questo post sono aperti e pubblici, nel caso di un eventuale contraddittorio. Non mi tiro mai indietro.

  • Una delle colleghe ha proposto che a vendere siano delle bookblogger: per me è no. Nonostante io sia una stronza cinica che non ha più sentimenti quando deve pubblicare un libro e non sono più nella fase honeymoon in cui “essere al Salone è il mio sogno” dal 2010, comprendo il sentimento espresso. Tuttavia bisogna considerare che trovare bookblogger fuori dal romance è difficile, non è detto che amino leggere altri generi, soprattutto non è detto che siano capaci a vendere e rimango della mia idea che a vendere debbano esserci dei commessi professionisti formati e regolarmente stipendiati.
  • Durante il panel è emersa la questione editori a pagamento in cui Sara Speciani ha giustamente affermato che bisogna dimostrare che ci sono editori a pagamento al Salone. Nel lontano 2010 (io c’ero, che ricordi) proprio al Salone del Libro si è tenuto l’evento Quando i sogni hanno un prezzo — Pagare per pubblicare? — Gruppo Albatros al Salone del libro (cliccate sul link per accedere alla registrazione su YouTube) in cui Costantino Margiotta ha moderato l’intervento tra Andrea Malabaila (Las Vegas Edizioni), Linda Rando (ex Writer’s Dream, ora Ultima Pagina), Giorgia Grasso (allora direttrice editoriale del Gruppo Albatros, gruppo che anche quest’anno era presente al Salone, così come tutti gli anni precedenti).
    Con Linda (perché sì, all’epoca ero presente pure io a fare questa cosa, rompevamo i coglioni già da piccole) e il resto dello staff dell’allora Writer’s Dream si era preparato un manoscritto tarocco inviato ad Albatros per la quale si era ottenuto in cambio applausi e un contratto di pubblicazione.
    Il fatto che siano passati 10 anni da quel panel non cambia il fatto che queste prove non solo ci sono, ma sono state portate al Salone stesso e da esso ignorate.
  • Quando parlo di area self in ambito fumettistico so che la risposta standard è “eeeeeh ma i fumetti sono un’altra cosa” perché lo so che nella mente del mio interlocutore avvengono sempre in sequenza i seguenti pensieri:
    1) i fumetti sono una cosa per bambini (esattamente come i romance sono una cosa per femmine, bla bla bla);
    2) fare fumetti è un’altra cosa rispetto ai libri (no, è proprio la stessa cosa. Anzi, nel mondo del fumetto passare dal self è quasi obbligatorio e un editore è persino più propenso a sceglierti se dimostri di saper portare a termine e vendere progetti personali lmao. Ne conosco almeno tre di self che proprio quest’anno erano al Salone agli stand dei loro editori, ovvero Marga Biazzi Blackbanshee con Rebelle Edizioni, Marika Michelazzi con Acheron Books e Ariel Vittori con Tunuè);
    3) oh no verremo invasi dai cosplayer (però intanto il tizio vestito in costume quest’anno andava benissimo)!
    4) c’è un tipo di selezione diversa nel fumetto: NO. Enne No. Chiunque fa fumetto esattamente come chiunque fa libri. Ci sono orrori visivi al pari dell’editoria tradizionale, quindi iniziamo a trattarli come se fossero la stessa cosa.
    Io non sto dicendo che dovremmo portare i fumetti alla self area del Salone (anche se sì, dovremmo farlo perché ci sono autrici e autori della madonna come ho già indicato prima che porterebbero molta gente sul posto), sto dicendo che dobbiamo prendere la formula delle self area del fumetto (che è tra le altre cose identica a quella del Festival del Romance Italiano) e sfruttarne i punti forti che funzionano da più di vent’anni a questa parte.
    E prima di dire “eh ma non è la stessa cosa”, almeno andateci a una fiera del fumetto. Vi farebbe pure bene.
  • Ne approfitto anche per fare una puntualizzazione su una questione portata sul piatto sempre da Claudio Secci durante il giro di domande, ovvero: “Nessun autore accetterebbe di pagare una quota così elevata stando in delega senza la possibilità di viversi l’area, il proprio libro al Salone, ecc.”
    Ha assolutamente ragione, motivo per cui andrebbero rivisti i prezzi di accesso all’area. Nella sezione “Organizzazione area” del mio programma approfondisco la questione.

Il mio programma

Vi avevo promesso di esporre il mio programma, che come potrete vedere voi stessi è anche piuttosto banale se masticate la presenza di vendita alle fiere. Voglio metterlo integralmente perché sì ok il tempo, ma ho sempre detto di scrivere meglio di come parlo.

Inoltre lo scrivo perché a criticare sono capaci tutti, ma a offrire soluzioni no.

Foto di Claudio Secci del Collettivo Scrittori Uniti

Problemi attuali

  • Al momento il problema principale della self area è che è in mano al Salone e non agli autori, come invece accade in tutte le self area delle altre fiere, che siano di libri o di fumetti. E per “in mano” non si intende certo autogestione, bensì la gestione degli spazi assegnati (nel rispetto delle norme, sia chiaro) e i pagamenti.
  • Al momento la self area del Salone (lo so che si chiama Area Pro, non stiamo a cavillare) predilige il singolo autore e non altri tipi di realtà editoriali associate, sempre self, che esistono in questo settore e che hanno un’identità ben precisa che non possono entrare nella scatoletta creata da questa self area (esempio Lux Lab per i libri o Attaccapanni Press per i fumetti). Non c’è spazio per i collettivi editoriali e con questa parola non si intendono realtà come il CSU, che invece esistono solo per portare i libri degli autori alle fiere, ma non hanno progetti comuni. Sono sempre “collettivi”, ma con finalità molto diverse.
  • A tal proposito mi riallaccio a un punto importante descritto da Claudio Secci del CSU (Collettivo Scrittori Uniti) durante il panel precedente al nostro: c’è un gap enorme tra l’area self per un libro (costo indicativo sui 200 e rotti euro) e l’acquisto di uno stand per editore dal costo di quasi 2000 euro. Certo, c’è l’Incubatore, ovvero l’area del Salone Internazionale del Libro di Torino dedicata alle case editrici con meno di 24 mesi di vita e non legate a grandi gruppi editoriali (costo iva inclusa quasi sui 900 euro), che però è sempre dedicata ai soli editori. E che comunque taglia fuori i micro editori una volta passati questi 24 mesi.
    La self area potrebbe diventare contenitore di quelle micro realtà editoriali underground che non sono editori a un prezzo più accessibile (ne parlo meglio dopo nella sezione successiva).
  • La self area deve essere aperta tutti i giorni e avere la stessa dimensione per tutta la durata dell’evento (l’attuale dimensione è buona, ma si potrebbe provare ad ampliare ancora un po’. Signor Messaggerie, ha veramente bisogno di uno stand così ingombrante? Io non credo).
  • Rimane sempre il problema degli autori assiepati dietro ai tavoli come soldati. I tentativi di vendita si sono fatti aggressivi e fastidiosi.
  • L’area di questa edizione 2024 è sicuramente più ariosa, ma camminare in mezzo ai tavoli è problematico per i visitatori.
  • L’ultimo è un non problema, ma è una cosa che a me personalmente non piace, ovvero la scheda di valutazione che viene data agli autori che poi vengono scartati. Si parla di libri già editi, capisco l’idea paternalistica dello spiegare allo scrittore perché il suo libro fa sanguinare dagli occhi, ma è una enorme perdita di tempo e risorse. Risorse che potrebbero essere meglio investite altrove, tipo assumendo qualcuno che sappia scartare i libri che hanno le copertine fatte con le AI (nessuna questione etica o morale: le illustrazioni di AI violano il copyright di mille nazioni, c’è ormai della legislazione in merito, cerchiamo di non fare entrare questo guano anche al Salone), perché ne ho viste parecchie.

Organizzazione Area

  • I tavoli sui cui sono esposti i libri non sono da cancellare, ma sarebbe da limitarsi ai soli autori non in presenza.
  • Per me la soluzione ideale da raggiungere è quello della self area di Lucca Comics & Games o del Festival del Romance Italiano, sia in termini di disposizione, che di costi. Un tavolo, due sedie, niente preallestiti come l’Incubatore (per abbattere maggiormente i costi), come è il metodo del Festival del Romance (che comunque rispetta tutte le varie norme di sicurezza) in un’area dove ci sono tutti i self. A chi dice che questo creerebbe un ulteriore ghetto rispondo che 1) non è possibile avere i self sparsi in giro per il Salone e 2) ci sono comunque le questioni della messa in sicurezza da tenere a mente. La self area deve essere un valore aggiunto, completamente diverso dal resto della fiera ed essere l’area “del diverso” in ogni senso del termine. È il motivo per cui i lettori vanno a comprarci. Non diverso in senso qualitativo, ma diverso nel senso di “cose che non posso trovare altrove”.
    Deve essere un luogo dove un agente letterario o un talent scout possa venire a “pescare” nuovi talenti letterari (come è successo a noi di Lux Lab durante l’edizione 2023 del Festival del Romance italiano, dove la nostra Ester Manzini è stata scoutata da Giunti Editore. Il suo romanzo Da quando sei qui uscirà il 29 maggio).
  • Questo porterebbe a dare autonomia di vendita agli autori e a gestirsi il proprio spazio come si fa in tutte le altre fiere (come nelle altre fiere, se le vendite sono gestite dagli autori, introdurre l’obbligo del libretto delle ricevute, anche se sarò sincera: agli stand degli editori nessuno mi ha fatto uno scontrino o dato una ricevuta di qualsiasi tipo, e loro la cassa vera ce l’hanno).
  • Si potrebbe pensare a un metodo ibrido che accontenta tutti: il tavolone per gli autori non in presenza a un costo ridotto (60/70 euro max, prezzo in linea con le varie partecipazioni fieristiche del Collettivo Scrittori Uniti), 100/120 euro se si vuole esporre in presenza sempre sui tavoli che c’erano quest’anno, “mini stand” ovvero il tavolo con le sedie in presenza a un costo di 400/500 euro iva inclusa per i cinque giorni (che è un prezzo standard in linea con le altre fiere, questo nello specifico è il costo di Lucca Comics per la self, ma anche del Festival del Romance Italiano). Alla domanda “dove li trovo degli autori disposti a pagare 400 euro per un tavolino” rispondo solo con “dove lo vuoi il bonifico?”
    Questi prezzi devono considerarsi iva inclusa, dunque il prezzo finale al self publisher.
  • Poi c’è la soluzione drastica. Sulla questione autori assiepati dietro al tavolone e incapaci di vendersi è un enorme problema dal punto di vista sia logistico che di vendite. Se si insiste a voler tenere la soluzione operata quest’anno, per me è necessario tagliare completamente fuori gli autori e formare dei librai o dei commessi (che non siano le ragazzine con la cicca in bocca dell’anno scorso che non avevano la minima idea di cosa diavolo stessero facendo, figurarsi cosa stessero vendendo) che si dividano l’area per genere (romance, gialli, ecc), che abbiano letto i libri presenti e che sappiano guidare l’acquirente nell’acquisto senza interessi personali (l’autore spingerà sempre il proprio libro a scapito degli altri). A tal proposito sarebbe utile che gli autori fornissero delle sinossi (non trame, SINOSSI) integrali dei propri libri che i librai/commessi possano leggere nel caso non ci fosse la possibilità economica di pagarli per leggerli integralmente i libri.
  • Se il Salone vuole improvvisarsi editore, allora che lo faccia come fa un editore al proprio stand, che conosce alla perfezione ogni singolo titolo sul tavolo. Diversamente non è di alcuna utilità al self publisher, in quanto abbiamo la certezza che non c’è alcun ritorno d’immagine post-Salone in termini di vendite se non c’è un investimento di reputazione e personal branding precedente.
  • Ne ho parlato durante il panel, ma elaboro meglio qui in merito alla questione del personal branding: nell’anno del signore 2024 essere un self publisher non è (quasi) più sinonimo di vanity press, bensì di essere auto editori, come dice spesso Rita Carla Francesca Monticelli. E proprio come un editore bisogna costruire la propria reputazione e la propria capacità di vendita prima del Salone, ma in generale prima di qualsiasi fiera.
    Non è compito del Salone formarvi come venditori, è una cosa che dovete saper fare da soli.
  • In questo tipo di manifestazioni potrebbe essere utile sostituire “autori indipendenti/indie” (che va a richiamare “editori indipendenti”) alla parola “self publisher”, così come definire tale la self area cambiando da “Area Pro” che raccoglie altre tipologie di stand, non per una questione autarchica, ma semplicemente linguistico-psicologica per i lettori. Il self-publisher è di norma fiero di essere tale, è al Salone che il termine non sembra piacere.

Metodi di selezione

  • Sebbene sia già stato fatto un enorme lavoro per affinare i metodi di selezione di accesso alla Self Area, la rete del colino è ancora larga e qualitativamente ci sono ancora libri la cui qualità non è buona per niente (ma questo è normale, il fatto che il 90% del self sia una discarica è un dato di fatto). Su quei tavoli ho visto cose che mi fanno rimpiangere gli alberi tagliati per stamparle, anche solo a primo impatto estetico (domenica mi è stato chiesto di fare “un gioco” e di dire cosa ne pensavo di tutte le copertine presenti su un tavolo e vorrei chiedere scusa agli autori e alle autrici presenti se li ho offesi. Non stavo cercando di vendere i miei servizi, non sono sadica, né crudele giuro. È che sono un’esteta).
  • Essendo il personale poco, è ovvio che da qualche parte serve mettere l’imbuto e che sia stata scelta la copertina e l’impaginazione (e la qualità indicativa di un capitolo a scelta). Il Salone dovrebbe mettere quindi a disposizione un budget più elevato a chi si occupa della self area in modo che più persone possano essere reclutate per questo lavoro e avere delle analisi più profonde dei libri da scegliere (questo ovviamente solo se si finisce sul tavolone).
  • Se si decidesse per una self area a là “Lucca Comics”, bisognerebbe copiarne i metodi di selezione: non il contenuto dei libri, bensì la bontà del progetto. Prediligere gli autori o i collettivi che hanno novità in uscita esclusive per l’evento Salone (che è quello che fanno anche gli editori). Dare la possibilità anche ai fumettisti di accedere come accade nelle altre fiere. Valutare il progetto nella sua complessità e non solo dei singoli libri (esempio: sarò più propensa a portare una novità, ma allo stesso tempo avrò la possibilità di portare anche il mio best seller senza che le due cose si escludano mutualmente).

Da escludere

  • È importante che l’area abbia una dignità pari a quella degli editori, che faccia dire ai lettori “ci vado perché so che lì troverò cose che non posso trovare da nessun’altra parte”. Quindi è importante che ci siano criteri di selezione “in negativo” quali per esempio non fare accedere autori molesti, che monopolizzano l’area di vendita facendo scappare i clienti.
  • No libri, copertine e merchandising fatti con l’AI (verrà il giorno che questo sarà un criterio di selezione anche per gli editori, ma mi piace sognare).
  • Se si decidesse di aprire l’area anche ai fumettisti, mettere da regolamento è che possibile portare esclusivamente progetti personali originali e non opere derivative come fanzine di altre opere o vendere fanwork.
  • No libri dei fascisti (sì alla libertà di espressione, ma non alla loro)
  • Sì a Valsoia

Considerazioni finali

Sono arrivata a essere al panel di domenica 12 maggio 2024 dopo una lunga serie di spiacevolezze da parte di persone, autori, colleghi, amici. Mi sono ritrovata in mezzo a un circo di opportunisti e leccaculo come mai prima d’ora.

Non sono felice di questo.

Non sono nemmeno felice di essermi dovuta rapportare con gente che dovrebbe avere la mia età, ma con il cervello di adolescenti rancorosi incapaci di affrontarmi direttamente, ma come diceva sempre il Vate:

La mia generazione ha un trucco buono
Critica tutti per non criticar nessuno
E fa rivoluzioni che non fanno male
Così che poi non cambi mai
Essere innocui insomma che sennò è volgare
Puoi giudicare come sono se vuoi, ma lo sai

Questo Salone è stato terribile per tante questioni, molte mie fisiche, viaggi in treno devastanti, sbirri di merda e tanto altro.

Tuttavia devo dirmi soddisfatta di quanto riguarda la parte del panel. Devo dire grazie a Sara Speciani per un motivo particolare: dopo aver letto il mio articolo dell’anno scorso poteva battersene la ciolla, come dicono i miei parenti liguri, invece ha voluto avere un confronto diretto con me nonostante io sia consapevole di non essere la persona più facile del mondo. Non mi doveva niente, eppure ha voluto darmi lo stesso la possibilità di portare il contraddittorio direttamente sul posto e di far sì che questo reportage non fosse completamente aria fritta.

Concludo ringraziando le persone che hanno partecipato al panel (3/4 erano praticamente amici e conoscenti miei lol) e anche quelli che non ci sono stati, ma che sono rimasti a leggere fino a qui.

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Ci vediamo in spirito al FRI di Roma.

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