L’Own Voices ha devastato questo paese

Daniela Barisone
5 min readApr 28, 2024

O di come American Fiction dice il vero.

Definizione di Own Voices:

The term refers to books about characters from underrepresented/marginalized groups in which the author shares the same identity. The writing is inspired by the author’s own experiences and written from their own perspective.

Libri necessari

Ci avete mai fatto caso che adesso è pieno di libri necessari, di libri forti, di libri che finalmente raccontano le cose come stanno, di libri che danno voce a *inserire qui comunità marginalizzata a scelta*?

Io ci ho fatto caso di recente. Non lo chiamerei politicamente corretto, perché sarebbe una stronzata, tuttavia in editoria si è finalmente deciso di dare spazio a tutte quelle voci che prima, per un motivo o per l’altro, spazio non ce lo avevano.

Una cosa nobile, tipo che so, la narrativa LGBT+, prima scarsamente accessibile. Un traguardo, insomma.

In American Fiction, un film che secondo me andrebbe trasmesso nelle scuole obbligando la gente a guardarlo con delle pinze negli occhi alla Arancia Meccanica, il protagonista Monk è un autore nero che si ritrova a vedere il proprio lavoro di scrittore gettato alle ortiche perché non scrive da nero.

White people think they want the truth, but they don’t. They want to feel absolved.

Monk si ritrova, da autore nero, a competere contro altri autori neri che dell’own voice hanno fatto una bandiera. Quelli che si sono rivestiti del un libro crudo e necessario e che, a differenza sua, hanno successo. Perché se sei nero devi solo scrivere storie di ghetto e violenza.

Mentre se sei queer, devi solo scrivere di disagio esistenziale, promiscuità e scopate su Grindr.

Il problema imho

Nella narrativa queer è successa una cosa: l’arrivo dell’own voice ha messo il marchio di infamia su, per esempio, il romance MM.

Sei donna, che cazzo ne vuoi sapere tu dell’amore tra uomini. Torna in cucina, casalinga feticista. Noi qui abbiamo bisogno di libri crudi, di descrizioni di scopate con lo sputo, di degrado esistenziale e anaffettività, perché è questo che i Veri Autori Maschi™️ scrivono, mica quelle sciocchezzuole da femmine.

Durante il Festival del Romance 2024 a Milano, io e Linda Rando abbiamo tenuto un panel in cui ho parlato del Romance MM, della sua storia, dei suoi problemi e un sacco di altre cose. Linda ha detto una cosa molto interessante:

Se a scrivere una storia d’amore è una donna, allora è solo una casalinga frustrata. Ma se a scrivere la stessa storia è un uomo, allora è un Premio Strega.

E mi ritrovo d’accordo, perché più vado avanti a leggere libri nel mio settore, più mi accorgo del divario allucinante che c’è tra libri scritti da uomini e donne. E non lo dico perché mi piace il romance (che non è nemmeno il mio genere di lettura preferito), ma perché se le donne hanno deciso di esprimere a tutto tondo i propri sentimenti, gli uomini hanno deciso di fare un vanto della propria stitichezza emotiva.

Di me non sai

E arriviamo quindi al punto di questo post, ovvero Di me non sai, il romanzo che ho letto in questi giorni. Scritto da Raffaele Cataldo, è edito da Accento Edizioni, editore di cui avevo già apprezzato Quasi di nascosto (AA.VV.) in passato.

Lucio si innamora «del ragazzo» ancora prima di conoscerlo: gli basta osservarlo dalla finestra del suo ufficio perché diventi quasi un’ossessione. Quando finalmente si conoscono scopre che Davide è ben più giovane di lui (sta ancora studiando), e che è sfuggente, inaffidabile e «crudele» come sanno essere crudeli i ragazzi a vent’anni.

Per due mesi Lucio e Davide cenano insieme, fanno sesso, vanno al mare, spesso dormono a casa di Lucio.

Davide però non si innamora. Continua a cercare Lorenzo, l’unico uomo che ha (forse) realmente amato e di cui conserva solo una foto pixelata su un cellulare ormai vecchio.

Come buona parte dei ragazzi a vent’anni è anche spaesato, ferito, disposto ad accoccolarsi nella quotidianità di una Coca-Cola sempre pronta per lui in frigorifero. «Di me non sai» racconta una relazione vissuta in modo opposto, incompatibile, la cui natura si disvela al lettore solo con lo scorrere del romanzo.

Alternando i punti di vista dei due protagonisti in capitoli brevi, a volte brevissimi, Raffaele Cataldo mostra il disallineamento dei sentimenti e le conseguenze dolorose che può avere, la lentezza delle estati calde pugliesi, e gli amori ossessivi (presenti e assenti) che come i semi d’avena infestante si attaccano a capelli, scarpe e vestiti.

Ho comprato questo libro in una libreria queer di Milano e le vibes che mi ha dato la trama erano simili a quelle del mio romanzo Distorsioni. Sarò onesta, è un periodo per me in cui non riesco a staccarmi dai miei stessi personaggi e ho bisogno di qualcosa che me li ricordi. Questo sembrava l’ideale e mio dio, quanto mi sono sbagliata.

Di me non sai è quel genere di libro che, quando telavo a scuola e andavo alla Feltrinelli sotto alla Galleria in Duomo, mi aspettavo di trovare sullo scaffale LGBT, di fianco a quello Droghe e sotto AIDS. È quel libro che mi rimanda sempre allo stesso preciso immaginario, perché di libri così, di Own Voices, ne ho visti fin troppi: storie pretenziose, la provincia e, come ho detto prima, di descrizioni di scopate con lo sputo, di degrado esistenziale e anaffettività.

Perché questo è.

Mi sta bene la storia di relazione disfunzionale, sul serio. Non è questo il problema, non cerco l’happy ending a tutti i costi.

Ma il mio problema è questo costante nichilismo cosmico che permea questo genere di romanzi, queste storie vere, come le definisce qualcuno, perché io non ci voglio credere che questo horror vacui sia per forza la realtà. O meglio, lo so che lo è, ma non voglio lo stesso.

Se poi vogliamo parlare a livello prettamente stilistico, questo libro pare scritto da un bambino. Vuole essere asciutto, bruciante, sferzante, ma in verità è solo moscio e da ritmo altalenante.

Non provo alcuna empatia per i personaggi di questo libro, non mi sono affezionata a nessuno di loro, né in termini positivi (che satana me ne scampi e liberi), né in termini negativi. Ed è un problema, perché questo libro mi ha provocato generico fastidio e peggio ancora, totale indifferenza per i suoi protagonisti e la loro sorte.

Devo dire che, se un manoscritto del genere fosse passato dalle mie mani, lo avrei probabilmente cestinato senza passare dal via. Quindi mi sono messa a cercare il motivo per il quale un romanzo mediocre come questo sia stato dato alle stampe e ho trovato la mia risposta alla fine del libro.

Studente della scuola Holden.

Sipario.

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