Ne uccide più la lingua

Daniela Barisone
5 min readMar 15, 2023

Recensione del saggio “Ne uccide più la lingua” di Valeria Fonte, retore e attivista femminista contro il revenge porn.

Premessa: purtroppo non posso usare la funzione spoiler su Medium e non posso parlare di questo libro senza riflettere su quella che è stata la mia esperienza personale. Inoltre, nella mia recensione non censurerò alcuna parola.
I trigger sono sacrosanti, ma io ho la necessità di chiamare le cose con il loro nome, per cui se la parola $t**ro vi scatena i flashback del Vietnam, vi invito a non proseguire con la lettura.

Recensione

“Ne uccide più la lingua” parla non solo di Valeria Fonte, l’autrice, bensì parla di tutte le donne. O almeno, la maggior parte di loro, quelle che a differenza del nostro reverente presidente del Consiglio Giorgia Meloni (maschile volontario, visto che vuole essere appellata come un uomo) non vivono e prosperano sotto l’ala del patriarcato.
Il libro si apre con questa introduzione:

“La misoginia, nonché l’odio di genere e il senso di avversione nei confronti della compagine femminile, ci ha forgiate nel nome della sottomissione forzata. Ridotte al silenzio, sentendoci in colpa perché ancora vive, abbiamo accolto remissivamente una vita infelice.”

Chiunque si riconosca come donna, troverà nel libro di Fonte qualcosa di conosciuto. Nel bene e male, ma più nel male. Perché ci parla di un pattern riconoscibile, che qualunque donna ha conosciuto nella vita, per un motivo o per l’altro.

Chi, come me, ha vissuto almeno una di queste cose, stringerà i denti fortissimo e dirà “È successo anche a me”. Chi invece non ha mai riconosciuto gli eventi descritti come “qualcosa di problematico”, vivrà una delle fasi dell’elaborazione del lutto, ovvero quella della negazione. Perché “se a me non è mai successo” o “io non concepisco questa cosa come problematica”, allora “non è mai successa e non è un problema” (e di questo Fonte parla abbondantemente).

Perché Fonte, precisa come una freccia tirata da Robin Hood, usa le parole per dimostrare quanto il nostro vissuto di tutti i giorni, la nostra socializzazione e, in generale, tutto quello che facciamo, sia permeato da una narrazione misogina che portiamo avanti anche noi donne, in maniera inconsapevole.

Perché ci è stato insegnato così.

“Essere donna non è una colpa.”

Ho avuto una famiglia relativamente permissiva, non mi sono mai state impedite di fare cose “perché femmina” (in compenso i miei genitori hanno dato retta alle suore e deciso che il fatto che fossi mancina fosse un errore da correggere, ma suppongo che non tutte le ciambelle riescano col buco) e mi sono state date le stesse esatte possibilità di mio fratello (o forse di più).

Questa premessa per dire che, nonostante la mia famiglia fosse di sinistra e relativamente progressista, i loro insegnamenti non mi hanno salvata da quello che è venuto dopo, quando sono diventata più grande. Perché come Fonte dice nel suo saggio, non veniamo educate a difenderci. Ma difenderci da chi? Dai figli del patriarcato, gli uomini (piccola nota a margine: non odio gli uomini, purtroppo per me mi piacciono pure e sono molto convinta che il femminismo serva anche a loro).
Niente mi ha preparata a essere psicologicamente e fisicamente schiacciata da un uomo che per anni mi ha convinta di essere io quella sbagliata.

E, come dice un interessante passo del libro, se non denunci allora non è mai accaduto. Per gli altri, perché intanto a te è accaduto eccome.

Prendo me stessa come strumento di misura di questo libro, perché mi ha fatta sentire come se stesse parlando di me, della mia storia. Tutto ciò che Fonte dice, raccontandosi anche con fatti privati, li ho sentiti condivisi. E se magari non mi è accaduta la stessa cosa, sono comunque in grado di avere abbastanza empatia da comprendere la vastità e la gravità di quello che ci accade a tutte quante.

La mia parte preferita del libro (preferita per modo di dire, sia chiaro), è a pagina 68 della versione cartacea (in ebook non so indicarvi la percentuale, mi spiace) e si intitola Lo stupro è un’altra cosa.

Un fidanzato che chiede un rapporto sessuale e insiste nonostante tu non abbia voglia, ti sta stuprando.
Un coniuge che usa la scusa dei “doveri matrimoniali” per ottenere la tua disponibilità sessuale, ti sta stuprando.
Se sei ubriaca e un uomo sfrutta la tua situazione di incoscienza per avere un rapporto, ti sta stuprando.
[…]
Alla retorica de “lo stupro è un’altra cosa” si deve togliere il potere di figurare lo stupro come un evento cruento, feroce e sanguinoso.
Perché nella maggior parte degli stupri non ci sono lividi, non ci sono lotte, non ci sono sanguinamenti.
[…]
Nessun* ci insegna a riconoscere uno stupro: è ora di imparare a farlo. E farà male, molto male. Perché realizzare di aver vissuto uno stupro non è semplice, per nessun*. Elaborare un trauma così grosso richiede terapia, pazienza, amore. Ma spesso il nostro cervello ci protegge. Infatti, se evitiamo di chiamarlo stupro, ci risparmiamo di processare questa informazione.

Ho comprato questo libro il 27 ottobre 2022. Mi sono seduta a leggerlo contro una delle colonne del Mercato Coperto di Milano. Con il Duomo sullo sfondo e una civetta della Polizia davanti al naso, mi sono messa a piangere, perché sì, realizzare tutte queste cose fa male. Fa male da levarti il fiato.

Non voglio entrare nello specifico, un po’ perché sono cazzi miei, ma dare un nome alle cose serve a identificarle. E questo mi ha aiutata a farlo, a capire che quelle sensazioni di disagio, quelle cose che ho passato, quelle che ho vissuto avevano un nome e un mandante.

Stupro era la parola che cercavo, quella che copriva quel “siamo sposati, ho delle necessità”. E quante volte abbiamo acconsentito con un sospiro a risolvere queste necessità, chiudendo gli occhi nella speranza che finisse in fretta e diventando pure bravissime a fingere di essere coinvolte? Dico solo che invito i produttori di shampoo, balsamo e bagnoschiuma a stampare mini racconti sul retro dei flaconi, in modo da avere qualcosa da leggere nel mentre.

Questo libro è necessario. È necessario che fosse pubblicato, è necessario che venga letto, affinché la narrazione tossica in cui viviamo senza più turarci il naso sia compromessa in favore di qualcosa di migliore.

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Daniela Barisone

Italian, 37. Writer for Lux Lab & Quixote Edizioni. Fanwriter and proud. https://lnk.bio/queenseptienna