Quella volta che Manuel Agnelli mi ha traumatizzata

Daniela Barisone
40 min readJun 20, 2023

L’eterna lotta tra fandom e celebrity.

Una nota importante prima di iniziare: questo articolo sarà LUNGO (sono quasi 40 minuti di lettura, somigliando pericolosamente a una tesi di laurea) e conterrà principalmente anche un fandom discourse che mi è caro e che predico da ormai tanti, tanti anni. Per cui abbiate la pazienza di arrivare alla fine.

E il titolo non è assolutamente clickbait come sembra.

Grazie alla mia signora Juls SK Vernet che mi ha editato l’articolo quelle 300 volte mentre aggiornavo e aggiungevo pezzi in continuazione.

Premessa

Oltre a scrivere e tradurre libri, io disegno. Quello dei fumetti è un mondo che a lungo ho accarezzato e che ho anche perseguito (sono diplomata alla Scuola Internazionale di Comics in Fumetto e anche in Colorazione Digitale), un mondo al quale mi sono affacciata in un periodo difficile della mia esistenza in cui le parole non uscivano più, nemmeno sotto forma di fanfiction, figurarsi di libri. Avevo il rigetto di tutto (lavoravo già nel mondo editoriale ed era la merda più assoluta sotto ogni punto di vista) e trovai nell’illustrazione il modo di dare vita al mio mondo interiore.

Non ho mai avuto la velleità di pubblicare fumetti. Sapevo che non sarei certo finita a lavorare alla Bonelli, né che avrei disegnato le storie di qualcun altro (Dio me ne scampi e liberi di avere a che fare con altra gente). Certo, sono finita a colorare i fumetti di altri, importanti o meno, ma ho sempre visto l’attività del colorare come un lavoro, a differenza del disegnare.

Perché disegnare doveva essere una cosa solo per me (disse quella che è finita a fare illustrazioni editoriali e copertine).

Fanfiction e Fanart

Cosa sono le fanfiction e cosa sono le fanart? Ma soprattutto cosa hanno a che fare con Manuel Agnelli che mi traumatizza l’esistenza?

Possiamo riassumere entrambe le parole come fanwork, ovvero un prodotto artistico (in forma di parola scritta, illustrazione, video, musica) realizzato dai fan. Un fanwork può essere un what if che cambia completamente le sorti di un media (film o libro), un semplice esercizio pornografico in cui far chiavare due personaggi che non si sono mai visti nella stessa scena una singola volta (questo è quello che accade più spesso).

Fanfiction (fanfic, fic) is a work of fiction written by fans for other fans, taking a source text or a famous person as a point of departure. Fanfiction is most commonly produced within the context of a fannish community and can be shared online such as in archives or in print such as in zines. Fanfiction is also written by fans in isolation, perhaps shared with a few friends or no one at all. Writing fanfiction is an extremely widespread fannish activity; millions of stories have been written,[1] and thousands more are written daily.

Per metterla in termini musicali, scrivere una fanfiction è un po’ l’equivalente di fare una cover di un brano famoso, con la differenza che la fanfiction non la puoi vendere, né guadagnarci sopra. La gente fa tutto questo gratis? Facciamo tutto tranne baciare con la bocca, baby.

In tutto questo esistono le RPF (Real Person Fiction) ovvero i fanwork sulle celebrity, persone reali. Possono essere storie in cui si shippano (shippare deriva dall’inglese shipping, l’atto di immaginare insieme due o più personaggi) gli attori di un telefilm (non i personaggi che interpretano, proprio loro) o i cantanti di una band. Infatti quello del bandom (Band Fandom) è un luogo nel quale ho vissuto benissimo per un sacco di anni (ho scritto e disegnato male storie sui Green Day, sui Metallica, su Mika, su chi più ne ha più ne metta).

Insomma, c’è chi ha riscritto ventordici ottavi libri di Harry Potter, chi ha scritto storie che non avrebbero sfigurato come nuovi episodi di Star Trek (se non fosse per quello spiacevole inconveniente di Spock che si incula Kirk ogni tre pagine), gente che scrivendo fanfic ci ha costruito una carriera, io invece ho dovuto fissarmi su Manuel Agnelli e Damiano dei Måneskin dopo la storica esibizione di Amandoti a Sanremo 2021.

Manuel Agnelli e Damiano David — realizzati da me medesima

Il fandom ieri

Non so il fandom internazionale come si comporti, ma in quello italiano, almeno noi della vecchia guardia, che abbiamo creato il fandom quando qui era tutta campagna, abbiamo delle regole.

Una di queste regole, quando si parla di RPF, soprattutto quando si creano contenuti erotici, è indubbiamente questione di cortesia: non andare a mettere i fanwork sotto il naso dei diretti interessati.

Si tratta di una mera questione di buon gusto: non a tutti può far piacere e, soprattutto quando si parla di contenuti espliciti, la cosa può arrecare disagio. Non fare al prossimo tuo quello che non vuoi venga fatto a te bla bla bla. Motivo per il quale è sempre stato d’uopo inserire i fanwork nei loro contenitori specifici detti archivi (il cui nome non inserisco perché il punto non è che chi legge li trovi), dove è possibile filtrarli tramite rating in base al grado di esplicito, avvertimenti importanti (morte di un pg principale, non consensuale, underage, ecc) o semplici tag che indicassero il contenuto. Al massimo era a discrezione dell’artista mandare la fanartina safe all’artista in questione per mostrare apprezzamento, ma mai più di questo.
In passato è successo, per esempio nel fandom di Sherlock BBC o Loki della Marvel, che queste illustrazioni non esattamente consumabili sul posto di lavoro (ovvero NSFW, not safe for work) venissero mostrati ai diretti interessati in diretta tv, strappando queste opere dal loro contesto e arrecando infinito disagio (ho ancora stampati in mente i volti di disgusto di Martin Freeman e Tom Hiddleston).

Ma soprattutto c’è una componente importante per i fancreators come me della vecchia scuola: sappiamo che sono opere di fantasia. Se scrivo di Tizio che si incula Caio sappiamo che è divertente da scrivere, ma soprattutto sappiamo che è finzione e pertanto andare a mettere queste cose sotto il naso di Tizio e Caio sarebbe maleducato oltremodo.

Insomma, tra noi (fan) e loro (celebrity) c’è sempre stato un divisorio. Chiamatelo velo, chiamatelo vetro, quarta parete è indifferente, ma per noi content creator è sempre stato necessario che questa divisione esistesse.

Sketch disegnato dopo “Amandoti”.

Il fandom oggi

L’America è una disgrazia su più livelli, ma per il fandom europeo lo è stata in modi massacranti. Soprattutto negli ultimi anni si è riversata online, grazie ai social, una quantità invereconda di puriteen, ovvero ragazzini giovani a cui sono stati inculcati valori molto diversi dai nostri, tra cui l’incapacità di analisi e del farsi i cazzi propri.

Lo strano caso del “shippo, ma quelle porcherie lì non le faccio”, dove per porcherie si intende la produzione di fanwork.

Succede molto spesso nelle comunità relative alle persone reali, quindi siamo nell’ambito delle RPF. Si tratta di un fenomeno abbastanza diffuso di recente con le nuove generazioni e il primo esempio sul quale si può osservare è il fandom dei Måneskin, dove i fan vedono malissimo qualsiasi produzione di fanwork, che siano fanart o fanfiction. Se poi queste sono storie VM18, apriti cielo. E fa abbastanza ridere, quando lo stesso gruppo ha un cantante che mima atti sessuali sul palco quando canta.

In queste comunità si sviluppa un forte gruppo di Anti, spesso formata da elementi molto giovani, i quali non hanno esperienza nel modo in cui i più anziani vedono il fandom (e tendenzialmente non hanno proprio esperienza con la vita).

Noialtri siamo persone semplici: se ci piace una cosa, ci scriviamo o ci disegnamo del porno sopra. Questo materiale però non è pensato per essere fruito al di fuori della comunità stessa. Ciò diventa un enorme problema quando la comunità stessa è formata da persone che non riescono a conciliare quello che provano (ovvero shippano, perché quello che vedono è bello e attraente) a quello che dovrebbero provare (ovvero quello che il resto della società impone, ovvero non shippare perché è schifoso e irrispettoso).

Anti e Pro-shipper

Il termine “Anti” è stato usato per descrivere i fan che disapprovano una ship e i suoi shipper perché ritengono che la ship sia problematica o moralmente sbagliata. In particolare, gli shipper più anziani provenienti da varie piattaforme hanno iniziato a usare, e usano tuttora, il termine “anti-shipper” (quindi abbreviato in anti) per descrivere i fan che molestano gli shipper perché consumano materiale su ship “moralmente sbagliate” (sulla questione moralità approfondiremo meglio nella sezione Purity Culture).

Avere un termine per descrivere l’ideologia dei molestatori è diventato importante perché i fan ritenevano che le molestie stessero causando un effetto terribile nei confronti dei fandom online e delle persone che lo vivevano.

I fan che si identificano come Anti sono più attivi su Tumblr o Twitter che su altre piattaforme online (anche se ora si possono trovare in gruppi di messaggistica come Discord o Telegram). Tuttavia, con la crescita del fenomeno stesso, i membri più giovani dei fandom in cui si riscontra una forte presenza di anti-shipper hanno iniziato ad auto-identificarsi come Anti.

L’opposto di un anti è un anti-anti, talvolta chiamato anche pro-shipper per semplicità.

Il megafono dato in mano agli Anti ha permesso a quella che era una risicata minoranza di ampliare la propria presenza online, avendo così la stessa disponibilità mediatica di tutti gli altri. Questo è stato indubbiamente un problema poiché, sebbene è giusto che la rete sia democratica, ci ritroviamo di fronte al paradosso dell’intolleranza: una collettività caratterizzata da tolleranza indiscriminata (come può essere quella del fandom, per sua natura accogliente e inclusiva) è inevitabilmente destinata ad essere stravolta e successivamente dominata dalle frange intolleranti presenti al suo interno. La conclusione, apparentemente paradossale, postulata da Karl Popper consiste nell’osservare che l’intolleranza nei confronti dell’intolleranza stessa sia condizione necessaria per la preservazione della natura tollerante di una società aperta.

Ci ritroviamo dunque di fronte a una minoranza che non si fa problemi ad attaccare, spesso anche con minacce di morte, e a utilizzare la minaccia della cancellazione (ovvero una censura), tutti quegli quegli artisti che producono contenuti su quello che va oltre alla loro morale.

La purity culture

Giuro che prima o poi arrivo al punto dell’articolo.

La purity culture è un fenomeno che nasce soprattutto in America del Nord a causa di quello che è il contesto culturale di molte regioni degli Stati Uniti.

Abbiamo quello che equivale a un “culto estremista della purezza” (dove per purezza si intende morale, prima di sessualità ecc.), le cui convinzioni si allineano quasi esattamente a quelle del Conservative American Christianity (cristianesimo conservatore americano) in termini di politica di purezza sessuale, ma che è composto per lo più da membri di minoranze le cui identità sessuali e di genere sono di solito osteggiate e oppresse dal cristianesimo conservatore americano (ed è questo che rende strana e a volte assurda la faccenda). Inoltre, le loro tattiche rispecchiano anche i gruppi religiosi pro-censura (come Warriors For Innocence), ma la loro retorica è interamente secolarizzata e derivata dalla teoria di sinistra.

Sono arrivati a questa struttura attraverso un’evoluzione convergente? Attraverso concetti socialmente dominanti nello spazio socio-culturale più ampio che occupano? Potrebbe benissimo esserci casi di emulazione diretta, ma non abbiamo dati storiografici in merito.

Uno degli argomenti tipici degli Anti è quello di accusare i pro-shipper di pedofilia ed è quello che fa più danni, poiché gli Anti hanno preso il significato della parola pedofilia (termine derivante dal tema greco παῖς (bambino) e φιλία (amicizia, affetto ma anche amore), indica una parafilia che si manifesta con azioni, ricorrenti impulsi e fantasie erotiche che implicano attività sessuali con bambini prepuberi — Wikipedia) e lo hanno applicato a cose che non hanno niente a che vedere con questa parafilia.

Per gli Anti, è pedofilo (o supporta la pedofilia) chi shippa personaggi di che hanno magari anche solo un anno di età… ma uno è minorenne (17 anni) e l’altro maggiorenne (18 anni). Viene considerata pedofilia una coppia con age gap in cui i personaggi sono entrambi adulti (per esempio 21 anni e 35 anni) perché ci si attacca al fattoide che il cervello umano non si sviluppa appieno fino ai 25 anni per cui sotto quell’età si è letteralmente minorenni. Ovviamente tutto in barba a quello che dice la legge e la scienza in merito. Capite che nel momento in cui ho messo nello stesso spazio due uomini con 32/33 anni di differenza, non poteva che andare tutto in vacca. Perché per loro ero letteralmente la personificazione di Hitler.

In “The cult structure of the American anti”, Samantha Aburime osserva che la purity culture generata dagli Anti è al pari di un fenomeno da setta religiosa come potrebbe essere Scientology. Utilizza il modello BITE (behavior, information, thought, and emotional control) sviluppato da Steven Hassan.

Il mio caso

E finalmente arriviamo al punto della questione.

Nell’edizione 2021 di Sanremo, i Måneskin hanno partecipato alla serata cover con “Amandoti”, celebre brano dei CCCP, chiamando come ospite ad assisterli il loro maestro Manuel Agnelli, che li scelse a X-Factor 2017 e li portò in finale (arrivati purtroppo secondi).

Sarò sincera, a me all’epoca 2017 dei Måneskin fregava abbastanza poco. Erano carucci, ma erano dei ragazzini. La stessa presenza di Manuel non mi era particolarmente di impatto. Nel senso sì, stiamo comunque parlando di uno dei miei artisti preferiti, ma era appunto tutto lì. E pur essendoci tutto il trope (in italiano tropo — dal greco τρόπος trópos, derivato da trépō, «volgo, trasferisco» — o traslato è l’utilizzo retorico di una “deviazione e trasposizione di significato”, quando l’uso di un’espressione normalmente legata ad un campo semantico viene attribuito “per estensione” ad altri oggetti o modi di essere. Il suo uso è detto “tropologia”, termine che indica un parlare per tropi. Si ha un tropo quando a un elemento della linea sintagmatica se ne sostituisce un altro, attraverso un’opzione paradigmatica. Particolare esempio è la metafora, tanto è vero che la tropologia è anche denominata metaforologia. Tipi specifici di metafora sono infatti quasi tutti i tropi. La tropologia è, assieme alla figuratica, uno dei due rami della retorica microtestuale. I tropi risultano quindi definiti anche come figure retoriche. Il tropo indica qualsiasi figura retorica in cui un’espressione a) è trasferita dal significato che le si riconosce come proprio ad un altro figurato; b) è destinata a rivestire, per estensione, un contenuto diverso da quello originario e letterale) del mentore e dell’allievo (uno dei miei preferiti) e il divario di età che normalmente mi farebbero scrivere intere segh… ehm saghe di romanzi, la scintilla non è scattata. In generale la mia creatività era morta, poiché poco dopo mio padre decise bene di passare a miglior vita e la creatività era tutto tranne qualcosa che sprizzava da azzurre fonti.

Quella cosa è rimasta lì fino ad “Amandoti”, dove Manuel si presentò con la barba e Damiano non era più un bambino hipster. Posso dire che quell’esibizione fu la cosa più frocia che io abbia mai visto? Lo dico.

Posso anche dire che questi due sono stati benzina per il mio fuoco creativo. Ho scritto almeno quattro romanzi a loro ispirati come prestavolto (più o meno) e ho avuto una notevole produzione di fanwork che va avanti sin da allora in modo costante. Non solo io, sia ben chiaro, siamo in parecchie persone a produrre e fruire di questi contenuti, che in ogni caso sono sempre stati pubblicati nei luoghi preposti.

A livello meramente artistico, per me Manuel è diventato un modello che ho disegnato talmente tante volte da diventare routine. Devo disegnare una commissione? Allora per fare stretching disegnerò Manuel, perché è talmente complicato da rendere che qualsiasi cosa che disegnerò dopo può solo venire bene.

Non è un’esagerazione. Disegnare lui o, in generale, le cose che mi piacciono sono l’equivalente musicale del “fare le prove”, dove testo cose in libertà che colorando fumetti non posso permettermi di fare per questioni di tempo. Queste prove mi hanno portata a realizzare cose che mi hanno successivamente fatta finire nominata ai Ringo Awards (che stando al mio capo è come essere nominata agli Oscar dei fumetti, se lo dice lui mi fido) come best colorist di fianco a gente che lavora in Marvel, DC e Image. Poi ci sono io, che mi esercito disegnando Manuel Agnelli, capite??? Mi hanno invitata a Baltimora per la premiazione e non posso andarci lol (sì, fatemi flexare per una volta)

I fanwork sono una cosa perversa, malata, sbagliata? Io penso proprio di no, ma mi limito a riportare questo brillante passo di “Fenomenologia di Manuel Agnelli. Social e narrazione mitica ai tempi di X Factor” di Cristiana Boido di cui consiglio la lettura a prescindere di essere o meno fan di Manuel o degli Afterhours.

Basta pensare, a tal proposito, alle narrazioni prodotte dagli utenti precedentemente, contemporaneamente e successivamente alla fruizione televisiva. Il pubblico fan, i fandom, spesso reputati pericolosi perché legati alla cultura della celebrità, si rivelano formidabili produttori di contenuti, moltiplicando l’evento/personaggio televisivo all’infinito.
Per esasperare il concetto di run (cioè la misurazione del valore di un prodotto televisivo attraverso il numero di esecuzioni in un determinato periodo di tempo) un prodotto crossmediale può avere un valore in run quasi infinito, poiché viene ripreso, riproposto, interpretato, spiegato, vissuto in un periodo di tempo che è infinitamente superiore a quello della messa in onda.

Il mio errore però è stato quello di addentrarmi nel fandom dei Måneskin senza però rendermi del tutto conto che ero una donna adulta, che produceva contenuti per adulti… in mezzo a una valanga di ragazzini. Problema che, vi dico l’onesta verità, non sussisteva finché i Må non hanno vinto l’Eurovision. A quel punto è stato il devasto, perché i puriteen e gli anti di cui vi parlavo prima si sono riversati in massa sui social.

Il fandom, il nostro spazio, che prima era una cosa moderatamente ristretta o, in generale, dedicata solo a una sfera più simile a quella della blogosfera che dei social network, è stata bucata a forza. Di conseguenza una delle mie numerose illustrazioni è stata tolta dal suo contesto (ovvero l’archivio) e messa su Twitter, dove a vederla c’erano i minorenni che sugli archivi non avrebbero potuto accedervi.
L’illustrazione era la seguente:

Non è niente di scabroso, considerato cos’altro ho disegnato e scritto su questi due (in realtà il mio primo fanwork è stato un intero fumetto erotico di venti pagine ambientato subito dopo l’esibizione, che non metterò qui né linkerò per umana decenza. Però faceva molto ridere perché c’era anche Orietta Berti).

Un’altra doverosa premessa

Disegnare, come dicevo all’inizio, per me è qualcosa di estremamente personale. È solo un altro dei millemila modi in cui esprimo me stessa e un po’ perché disegnare pornografia mi diverte moltissimo, soprattutto per la sua estrema difficoltà. Amo disegnarne e scriverne tanto quanto non amo troppo l’esperienza reale.

Le fanfiction sono un altro mezzo molto simile, che però io reputo una sandbox, un luogo neutro e sicuro dove poter sperimentare quello che poi inserirò eventualmente nei miei romanzi. Io so benissimo che Manuel e Damiano non stanno insieme, sarebbe folle credere il contrario. Ma Manuel e Damiano sono diventati contenitori della mia creatività, adattando i loro involucri esterni a prestarsi come burattini per le varie storie o disegni. Sono diventati prestavolto, ma le esperienze di cui parlo nelle loro storie sono loro in modo marginale, perché li uso per parlare di me e di quello che provo io.

Insomma, sono tutti divertissement innocui che però mi hanno impedito di avvicinarmi a questi musicisti perché come dicevo prima c’è un noi e c’è un loro e questa barriera non può e non deve essere infranta in nessun modo. Chiamatele remore, chiamatela morale, chiamatelo paraculismo, ma nel fandom c’è sempre stata una regola scolpita nella pietra: “Non si parla dei Damagnelli in pubblico”. Io preferisco chiamarla buona educazione e umana decenza.

Ho sempre provato sincero disagio ad approcciarmi alle altre fan di Manuel (soprattutto quelle facenti parte di quello che dovrebbe essere il “gruppo ufficiale” (o quello degli AFH), più o meno, di cui non ho mai voluto fare parte, sia per scarsità di contenuti e discussioni, sia per un gap generazionale che mi rende difficile rapportarmi a loro) che non fossero chi mi seguiva per i miei fanwork. Hanno molto in comune con le giovanissime fan dei Måneskin, una marcata mancata capacità di distinzione tra realtà e fantasia e un grado di decontestualizzare che ha del nucleare.

E in generale i fan degli AFH hanno in comune con quelli dei Må un sacco di altre cose, tipo gente che non vuole “gli after”, vuole rivivere all over again le sensazioni di quando era ragazzino, senza mai cambiare o evolvere perché vogliono “la sicurezza” che stia andando tutto bene.
Vogliono sentire Hai paura del buio?, Non è per sempre e al massimo Ballate per piccole iene, cristallizzandosi nella propria giovinezza senza mai fare un solo centimetro avanti (salvo poi lagnarsi che durante la sua carriera solita, Manuel canta canzoni degli AFH e a quel punto bastava suonare con loro. Non vedo l’ora che esca un secondo album di Manuel così non canterà MAI PIÙ nessuna canzone degli AFH in concerto in eterno), proprio come le giovani fan dei Måneskin per le quali esiste solo Teatro d’Ira e nient’altro. Nello specifico, riguardo a Manuel, vorrei tirarmi fuori un sassolino nella scarpa: nessuno ti porterà via musica degli Afterhours, né le esperienze che hai avuto con loro. Ma permetti che dopo 30 anni uno possa voler fare qualcosa di diverso senza essere il tuo personale pupazzo con la mano che si infila nel culo per esibirsi a comando?

Hanno in comune anche il gatekeeping, l’atto di impedire ai nuovi fan di esserlo in maniera spensierata perché “loro c’erano da prima” e te lo faranno pesare ogni cinque minuti e se oserai fare anche solo qualcosa di vagamente diverso, saranno pronti a mangiarti vivo (sempre in barba a tutti i principi delle band che seguono).

Ho sempre trovato bizzarro che a rompermi il cazzo su disegni in fondo innocui e che mi facevo cura di non pubblicizzare fossero le stesse cinquantenni che ai concerti di Manuel urlavano di volergli succhiare il cazzo.

Educazione siberiana, suppongo.

Il fatto

L’uscita pubblica di questa fanart è coincisa, tra le altre cose, con le volte in cui ho incontrato Manuel Agnelli di persona (oltre al fatto che una delle sue band nella sua ultima edizione di X-Factor avesse deciso di mostrargli cose del mio account Instagram, per fortuna scevro da cose che non doveva vedere). La barriera andava assolutamente mantenuta, perché a prescindere che fosse lui o il Papa, era impensabile che lui venisse a sapere. Di Damiano mi importava una ricca sega (forse perché manca totalmente quella forma di strana reverenza che crea l’altro al suo solo esistere), ma non so perché di Manuel mi ero fatta questa immagine mentale di un boomer ignavo senza accesso a internet.
Tra l’altro ci tengo a sottolineare che, nonostante questa mia percezione (e profonda autoconvinzione) di Manuel Agnelli come uomo delle caverne che comunica con terze parti mandandosi piccioni viaggiatori, il nostro non è affatto nuovo al mondo del fandom. Ne è molto consapevole, poiché oltre ad affidare i suoi canali social all’azienda che gli fa da ufficio stampa per gli eventi, quest’ultima è incaricata di creare anche i cosiddetti “fanclub” dei suoi concorrenti a X-Factor (non mi ricordo se anche quello dei Måneskin al momento, ma di certo quelli dei Little Piece of Marmelade, dei Bengala Fire e dei Mutonia). Fanclub che non ho mai apprezzato per tutta una serie di motivi personali (dalla gestione, alla comunicazione, ai modi soprattutto), ma di cui non voglio approfondire troppo perché non è l’argomento dell’articolo.

Su Twitter però questa cosa mi è esplosa in faccia e non sarebbe potuta andare diversamente, poiché quando prendi qualcosa e lo decontestualizzi, è naturale che andrà tutto in merda (in realtà mi è successo una seconda volta con un’illustrazione erotica, cosa che mi ha fatta andare in berserk come mai nella mia vita, perché non c’è nulla che io odi di più che avere qualcosa di questo genere vicino a dei minorenni, soprattutto quando i minorenni in questione hanno l’orrendo vizio di avere opinioni).

È stata quindi una settimana lunghissima e infinita, che mi ha devastata mentalmente nonostante avessi il supporto di tutto il fandom (a cui fregava poco e niente delle mie ship, loro avevano le loro eccetera), poiché dover spiegare a un’orda di ragazzine tredicenni che no, quello che stanno vedendo è finto e anche se fosse stato vero chi se ne fotte, non è qualcosa che vorreste sperimentare nella vita. Ed è un serio problema, poiché il problema sono diventata io e i miei fanwork disponibili solo nei luoghi preposti, presi, decontestualizzati e fatti a pezzi e non loro a cui mancava il grano salis di distinguere la realtà dalla fiction.

E questo concetto è molto importante, poiché quando il grande giornalismo si è messo a parlare di fanfiction e fanart lo ha sempre fatto in modo terribile, senza capire la portata del fenomeno (e come potrebbero, sarebbe come… come spiegare gli Afterhours alle fan dei Måneskin, lol).
Credo sia doveroso specificare che sì, disegno e scrivo Manuel e Damiano, ma che non sono davvero Manuel e Damiano. Hanno la loro forma, il loro aspetto, spesso condividono dettagli, ma sono personaggi inventati. Consapevolmente non veri. Sono involucri, attori in cui dei personaggi si muovono e li interpretano per realizzare storie.
E io patisco moltissimo quando questo messaggio non passa, perché denota in primis un deficit cognitivo mica da ridere (nessuno sano di mente crederebbe che il materiale di un fanwork sia reale), sia mancanza di empatia.

Perché il fanwork è un atto d’amore profondo, rispettoso. Posso scrivere di inculate, ma farlo nel modo più dignitoso e rispettoso possibile. Semmai quello che mi preoccupa è che per colpa di X-Factor sia passata un’immagine non limpida (soprattutto di Manuel) che ho sempre cercato di correggere nei fanwork altrui (voi non avete idea delle cose traumatiche che scrivono i russi, ragazzi miei. O gli americani. Questo cristiano ha detto una cosa una su Ethan al termine della prima esibizione dei ragazzi per guadagnarsi il posto di Villain™️ in ogni singola fanfiction) a scapito del “vivi e lascia vivere”.

Come funziona il fandom dei Måneskin

Come tutti i fandom, ci sono diverse correnti di pensiero che si possono tranquillamente dividere in ship di personaggi/persone. La più comune è la Damoria (Damiano/Victoria), che sono più o meno l’equivalente di un tumore al quarto stadio perché non si limitano a shippare in maniera normale, no. Come ho detto prima, loro credono che sia tutto verissimo. Hanno persino un account instagram con lo stesso nome che fa venire i brividi, roba da chiamare i carabinieri. Poi ci sono gli Ethiano (Damiano ed Ethan), i Thomiano (Thomas ed Ethan), quelli che shippano Victoria con Ethan o Thomas a turno (quest’ultima ship va a soddisfare qualche vaga fantasia incestuosa che non ho le forze di esaminare qui perché non siamo proprio nel campo delle cose di cui mi frega qualcosa). E poi ci siamo noi, i Damagnelli. Insomma, Damiano è un po’ la bicicletta del comune, ma sarebbe stato strano diversamente. Ci sono anche quelli che siano convinti che il matrimonio di Rush! sia reale e shippano tutti come un’allegra polecola. Ci sono quelli che solo il canon è valido, quindi se shippi qualcosa di diverso da Damiano e Gior — ah già.

Noi siamo quelli più odiati.

La domanda è: perché? Perché essere odiati se ci siamo sempre comportate così bene, se non abbiamo mai rotto il cazzo a nessuno, se siamo di fatto le poche persone a non aver mai nemmeno lasciato un commento sotto ai post social di questi artisti?

La risposta è indubbiamente da ricercarsi in quanto ho espresso prima riguardo la purity culture. In un fandom sano, in quell’internet che ora purtroppo non esiste più, queste “correnti di pensiero” riguardati le ship sarebbero sfociate in quelle che comunemente vengono definite ship wars, ovvero “guerre” su quale ship sia meglio. Ovviamente non c’è nessun meglio, tutte le ship sono egualmente valide a prescindere dal media di cui si sta parlando, ma alla gente piace litigare e perdere un sacco di tempo (ai primi tempi di Facebook erano famose le pagine Spotted sui fandom e i fan creator). Invece questo filone tutto americano che ammorba non solo questo fandom (dopo la vittoria dei ragazzi all’Eurovision), bensì tutti i fandom a livello generale (c’è gente che scriveva fanfiction su Piton e Harry Potter 20 anni fa che adesso si vede i call-out perché definiti problematici), sta prendendo piede al posto delle comuni regole di buon senso.

Il piacere della condivisione, della scoperta (perché sarò onesta: a me di tutta questa storia interessava solo convertire quante più fan dei Må agli AFH per avere altra gente con cui parlarne) e perché no, dell’amicizia, è stato spazzato via dai quattro cavalieri dell’Apocalisse Fascista: Normalizzare, Feticizzare, Problematicizzare e l’ultimo non me lo ricordo, ma era qualche cazzata su questa linea (dalla regia mi suggeriscono Autarchia).

Sono tutte cose che funzionano prettamente online, ma hanno un rigurgito violento sull’offline, poiché parlando di persone estremamente giovani, si rischia che questi comportamenti vengano assorbiti internamente. Abbiamo quindi le basi di un bandom qualsiasi, che però è cresciuto come le teste di un’idra in direzioni inaspettate a causa proprio della sua natura strettamente legata ai social network, dove prima era limitato probabilmente dalla mancanza degli stessi (basterebbe pensare ai Duran Duran).

Sociologicamente parlando si sta realizzando un curioso assioma che possiamo notare in un sacco di altri spazi della vita: se a me questa cosa non piace, allora non deve esistere.

Ci siamo fatte anche i memini così, eh

Come dicevo prima, in un fandom normale, a prescindere dalle ship wars, noi avremmo potuto continuare a coesistere più o meno in pace. Sì, ci sarebbero state le battutine, le cazzatelle, ma quelle succedono sempre. Qui invece si sta sviluppando qualcosa di molto simile a quello che vediamo nella vita politica: l’eliminazione deve essere persino fisica, se necessario. Perché se distruggo quella cosa, allora io sono moralmente superiore.

È interessante notare anche come questo accada in un fandom/bandom dove il messaggio predicato dalla band in questione è l’amore, il rispetto verso l’altro, bandiere del Pride, supporto all’Ucraina. Alcuni si lamentano del mancato intervento dei membri della band su quello che accade, tuttavia bisogna anche capire che non è una loro responsabilità se i loro fan sono dei deficienti. È uno dei motivi per cui l’intervento di Manuel nei miei confronti (pubblico o privato non è rilevante) di cui leggerete tra poco è così sensazionale.

Di conseguenza più il messaggio è progressista, più fascisti diventano i metodi di chi segue. Ci sarebbe poi da fare un lungo e infinito discorso sull’omofobia e la misoginia interiorizzata di queste persone, dovremmo andare ad analizzare le vite di queste persone e francamente non mi pagano abbastanza per questo.

Tuttavia c’è una parte divertente in questo: al concerto all’Arena di Verona dei Måneskin, il gesto indubbiamente casuale di Damiano che offre a Manuel una rosa sul palco ha zittito in modo violento una buona fetta di detrattori. Diciamo che mi hanno fatto smettere di prendere l’OkiTask per il mal di testa per almeno un paio di mesetti.

Manuel Agnelli che mi riga l’esistenza

Ho incontrato Manuel diverse volte. La prima è stata al Portico degli Elefanti del Castello Sforzesco di Milano, durante una sessione estiva di Germi, il suo locale (nonché hub culturale milanese) a cui desideravo andare in quanto si parlava di fumetti (a parlare durante l’evento era un mio conoscente, nonché gestore all’epoca del Comics di Abbiategrasso, alla quale ero stata invitata nell’epoca del Giurassico). In quell’occasione gli regalai un urban sketch del portico fatto sul momento (è mia buona abitudine estiva girare per Milano e dintorni a fare urban sketching) salvo poi scappare alla velocità della luce un istante dopo, lasciandolo probabilmente molto perplesso dal mio comportamento.

Lui, povera stella, non poteva sapere che quel giorno avevo firmato delle stampe delle mie fanart con lui che limonava Damiano per delle fan, quindi era necessario per me mettere il più spazio possibile tra noi due.

Successivamente ci sono state altre volte in cui ho potuto incontrarlo e parlargli (l’ho sempre trovato di una gentilezza e cortesia inumane) e mi sono adagiata sugli allori di questa illusoria consapevolezza che lui non sapesse, che la barriera era sana e salva.

Manuel e me medesima

A marzo 2023 ho compiuto 37 anni e tutte le mie amiche e lettrici hanno avuto la stessa identica idea: regalarmi un biglietto per Lazarus, lo spettacolo in cui Manuel interpreta il Newton di David Bowie. Sono così finita per vederlo quattro (4) volte. Qualche giorno fa l’ho visto per l’ultima volta al teatro Stabile di Torino (città che, se avete letto all’inizio, è stata la sede dei miei studi artistici, quindi ci trovo una sorta di crudele uroboro in questo). Essendo la mia ultima occasione in merito (perché corcazzo che mi metto con le sciure a fare notte per aspettarlo post-concerto) e approfittando dell’infinita pazienza del mio povero fidanzato, ho deciso di approfittarne per regalargli un suo ritratto che ho realizzato a inchiostro su carta:

Non avevo nessuna velleità in merito, lo confesso. Il fatto di donarglielo per me era semplicemente un gesto gentile, nonché l’unica concessione alla mia stupida morale.

In buona sostanza ho voluto darglielo perché lui, senza saperlo, a me ha dato moltissimo. Mi ha dato musica che mi ha tenuto compagnia per tanto tempo, mi ha dato musica che potesse aiutarmi a comprendere quello che avevo dentro quando è morto mio padre (“Folfiri e Folfox”, anche se non lo ascolto mai proprio per questa ragione), mi ha dato la possibilità di creare arte e storie, che per me sono l’espressione massima. Nel mio piccolo volevo ringraziarlo di essere stato una presenza più o meno importante della mia esistenza, a sua insaputa.

Lui però, dopo i complimenti e gli apprezzamenti di rito, mi guarda e mi fa: “riconosco lo stile, tu sei quella che mi disegna con Damiano, vero?”

Io sono ancora cadavere, lo ammetto. Non penso mi riprenderò mai.

Il mio primo pensiero è stato quello di eiettarmi nella stratosfera, cosa che mi è stata impedita di fare, ma no. Lui non solo era dispiaciuto delle critiche che mi sono state fatte su Twitter, ma peggio ancora: lui apprezza.

È passata una settimana e tutti cercano ancora di convincermi che quello che è accaduto è una cosa fantastica, meravigliosa. Che c’è realizzazione, vendetta, validazione.

Io invece urlo perché la barriera è caduta e non c’è più modo di rimetterla in piedi. Non c’è più un noi e un loro, c’è solo confusione e questa cosa per me è inaccettabile. Mi ha lasciato un solco traumatico indipendentemente da quello che io possa provare sulla questione. Perché non sono stupida, è naturale che i complimenti (e sono stati tanti) ricevuti da lui mi abbiano fatto molto piacere (sebbene non fossero il mio scopo: il mio scopo era fare un dono, perché è così che esprimo il mio affetto, donando la mia arte ad altri). Tuttavia per me quella barriera era fondamentale, perché è stata su per vent’anni e all’improvviso è andata in frantumi, mischiando vita reale con vita del fandom.

Per un singolo istante mi sono immaginata al gabbio, con le manette. Ho pensato ai soldi (che non ho) che avrei dovuto spendere in avvocati. Poi il mio cervello impanicato mi ha suggerito che non ho fatto nulla di male, di offensivo o altro.

Non è un problema di dignità o lavorativo (scrivo e disegno porno per mestiere con il mio vero nome, mi è del tutto irrilevante questo), ma perché è la prima volta in assoluto che uno dei miei soggetti non solo è vivo e vegeto, ma è reale, sa tutto sulla questione e la approva persino.

È una bella cosa, certo, ma questo non la rende meno devastante, tenendo conto che per due anni secchi non ho potuto condividere i miei fanwork sui social per tenerli segreti ed evitare proprio questo.

Non è nemmeno un problema di approvazione o bisogno dello stesso. Non ho bisogno dell’approvazione di nessuno, manco del mio stesso padre, buonanima, figurarsi della sua o di quella di Damiano. Certamente mi sarei adoperata (piangendo e urlando) a rimuovere tutto se richiesto, tuttavia sono una fan e come tale posso esprimermi come meglio credo, sempre nel rispetto altrui (perché quando si è in ambito RPF il confine è sempre molto labile). Non ho bisogno di convincere qualcuno che i miei fanwork siano giusti o sbagliati, perché non esiste giusto o sbagliato in queste cose. Il fandom è grigio e io mi sono voluta sedere sulla panca di quelli che non fanno le cose a cazzo di cane, perché con questo fandom è venuto fuori un discorso di divulgazione enorme che mai mi sarei aspettata. Divulgazione proprio sulla figura di Manuel, perché dove di Damiano si sapeva praticamente pure quanti peli sul culo avesse (visto che si premura ogni giorno di farceli contare), Manuel ha vissuto la maggior parte della sua carriera artistica fuori da internet. Un novello David Bowie (ah!) che ci ha mostrato le briciole e tutto d’un tratto mi sono ritrovata a essere ritenuta, mio malgrado, esperta sulla sua figura da un sacco di nuovi arrivati in questo fandom (per una lunga serie di motivi del tutto casuali e arbitrari che però mi facevano sembrare preparata sull’argomento quando in realtà leggo solo molto), di fatto creandomi persino la necessità di creare un archivio sull’argomento. Un lavoro estenuante e bellissimo che esula dal mio disegnarlo con Damiano e che ho portato avanti con la pazienza del curatore della Biblioteca di Alessandria, con la speranza che non andasse metaforicamente a fuoco. Come invece ha fatto il mio senso di intimità, violato alla radice. Ma non da lui, perché il fatto che prima o poi lui lo scoprisse era del tutto inevitabile e per una rara volta nella mia vita, ho deciso di essere ingenua su qualcosa.

Il risultato in ogni caso è stata una crisi di panico. Seguita da una di pianto in mezzo alla strada mentre il mio fidanzato e le mie amiche ridevano di me e delle mie stupide regole del cazzo.

Look down here, I’m in HELL.

“Look up here, I’m in Heaven” — Lazarus — David Bowie

Lui, da bravo sadico quale è, se mai leggerà queste parole si farà delle grassissime risate a mie spese e va bene così, perché a parti inverse pure io riderei di me.

Tuttavia non smetterò di scrivere e disegnare, perché Manuel e Damiano mi hanno dato carburante per troppo tempo e per troppe cose. Mi hanno permesso di creare storie assurde e incredibili di cui vado molto fiera, mi hanno fatto affrontare con successo temi che non avrei mai toccato nemmeno con le mani di un’altra.

Non tanto Damiano (che pure apprezzo, seppur in diversa maniera), Manuel per me ha creato un intero mondo. Posso definirlo a tutti gli effetti co-creatore di questo fandom (che non ho inventato io, ci tengo a sottolineare, io l’ho solo reso quello che è ora), perché mi ha fatta arrivare in tutto il mondo.

Sembra un’esagerazione? In effetti potrebbe, ma i fatti parlano di altro: ci sono persone straniere che hanno iniziato a leggere le mie storie e i miei libri ispirati a loro per imparare l’italiano (il fandom italiano, su qualsiasi cosa fosse, è sempre stato minuscolo. Per farsi leggere era necessario scrivere solo in inglese, tuttavia il successo dei Måneskin ha creato un effetto cascata del tutto inaspettato — e ora reso anche vano dal loro cantare in inglese, ma questa è un’altra storia). Persone che dopo quei disegni hanno scoperto che c’era molto altro, ovvero un’intera discografia degli AFH. Persone che hanno comprato dischi (potrei parlare ore delle ore che abbiamo passato nei negozi sui Navigli a cercare roba degli AFH, io parlando un inglese di merda e loro stupendomi con il loro italiano), ma che si sono accentrate in Italia per concerti e spettacoli teatrali.

Manuel Agnelli mi ha rigato l’esistenza manco fossi la portiera della macchina della sua ex, ma mi ha dato a sua insaputa anche contatti, amicizie bellissime, connessioni umane.

E per questo non posso che dire grazie.

Proci — Manuel Agnelli

Vent’anni nel fandom

Sono tanti. Tantissimi.

E, come giustamente dice il mio buon amico Def, “l’idea di un fandom riservato è ormai anacronistica quanto l’ideale di Milano 2 o dei suburbia USA nel senso che la gated community non può più esistere, salvo mettere una quantità di lucchetti tale da rendere la condivisione (perché il fandom quello è) sterile”. Questo non significa che sia sterile per sé, significa che quello che ho vissuto con il Måtwt (il fandom dei Måneskin su Twitter) ha ucciso una cosa che, in passato, sarebbe divenuta una community prospera e anche molto grande. Un danno collaterale che non è affatto collaterale, ma diretto (333 segnalazioni in un singolo giorno per ogni fanwork effettuate da 3 persone nell’arco di mezz’ora sull’archivio, risultando come più di un migliaio di segnalazioni a mio nome nel giro di pochissimo sono stati momenti complicati da gestire).

Sono stata obbligata a rendere una comunità dapprima aperta, alla ricerca di nuove connessioni (perché l’esperienza migliore del fandom è proprio quella di conoscere qualcuno con gusti in comune e creare una rete umana), una comunità chiusa, sbarrata con un cancello. È anche inutile che proviate a cercarci, perché non ci troverete mai.

Tuttavia non posso che osservare che quello che è successo a me non è nuovo, ma in realtà un tumore che sta contaminando trasversalmente tutti gli aspetti della vita fandomica e che ha come comune denominatore i social network. Una volta Manuel ha detto una cosa molto interessante in un’intervista, applicata alla politica: i social ci danno l’illusione di partecipare attivamente alla vita politica, stando seduti sul divano, senza dover andare nelle piazze. Ecco, questo discorso è vero solo a metà. Quando lui faceva per la prima volta questo discorso, diversi anni fa (anche se lo ha ribadito di recente), non teneva in conto di una cosa: che la vita si era sviluppata come una gramigna sui social. Che questi ultimi fossero divenuti spesso l’unico mezzo di espressione di alcune persone.

Quindi cosa è successo? Come ho detto prima, c’è stato un vomitare lento e costante sui social dei più giovani, che hanno inquinato la vita del fandom (che non sempre è esistita online, c’è da dire) in modo sistematico e costante. Il problema non sono ovviamente i giovani, vorrei che questo sia chiaro, ma la purity culture di cui vi ho parlato prima. Dopo anni di liberazione sessuale siamo arrivati ad avere una nuova generazione terrorizzata dal sesso e da tutto ciò che esso può comportare, comprese le cose più innocue come questa.

I fanwork non sono certo qualcosa che ho inventato io. Mentre il “grande giornalismo” è impegnato a dire che le fyccine sugli One Direction sono qualcosa di ridicolo e assurdo, una fyccina sugli One Direction è diventata un libro pubblicato da Mondadori. Un’altra è diventata un caso editoriale famosissimo — After — e un’altra su Twilight è divenuta poi quell’incubo di 50 Sfumature di Grigio, che avrà tantissimi difetti, ma che ha spianato di fatto la strada del mercato editoriale alla narrativa erotica dove prima non aveva alcun modo di esistere. Ci sono fanwriter che sono diventate scrittrici pubblicate da grandi editori, mi vengono in mente Eleonora C. Caruso, Virginia De Winter, Loredana Lipperini (sì, proprio lei).

Tutto questo ha radici ben più antiche. Anche se si è d’uso datare la nascita del fandom vero e proprio con l’avvento di Star Trek (vi lascio il link a questo articolo su Spockanalia, la prima fanzine cartacea mai pubblicata nel 1967, l’antenata dei moderni archivi. Perché sì, una volta le fyccine e il porno ce lo ciclostilavamo in casa e lo spedivamo per posta agli amici), in realtà il fenomeno è molto più antico.

Ne “Il problema finale”, Arthur C. Doyle uccise la sua creatura più amata dal pubblico: Sherlock Holmes. Questo ai fan del celebre investigatore non andò esattamente giù, al punto che dovette resuscitarlo, ma non è questo di cui voglio parlare. Quello che mi preme indicare è che all’epoca c’erano già le fanfiction. Di incularelle su Holmes e Watson se ne sono scritte (disegnate non lo so, ma probabilmente sì) a dismisura (ma anche solo di roba più convenzionale, ovvero what if? dove Holmes non moriva).

Quindi arrivare a me che disegno Manuel Agnelli e Damiano dei Måneskin non è qualcosa di nuovo, assurdo o groundbreaking. È qualcosa che è sempre esistito, sempre esisterà e che purtroppo smetterà di essere divertente molto presto perché, se c’è una cosa di cui noi fancreator dobbiamo assumerci la responsabilità, è che non siamo stati in grado di educare i nuovi arrivati a un fruire in maniera giusta e consapevole gli spazi del fandom. Qualcuno potrebbe dirmi che non è compito nostro, che si arrangino insomma, io però vedo solo gli effetti che questo atteggiamento ha avuto anche in altre parti della vita, come per esempio la politica. Il fandom è direttamente influenzato dai social network, oggigiorno, ma questo non intervenire ci ha dato l’illusione di partecipare alla vita comune, se mi permettete il parafrasare. Quindi da entrambi i lati abbiamo permesso al fascismo di entrare.

One shot, one kill

L’esperienza negativa non è stata quella con Manuel, ci tengo a fare una precisazione su questo. Manuel ha avuto la possibilità di schiacciarmi nel pugno e di distruggermi nell’arco di tre parole, eppure non solo non l’ha fatto, ma ha avuto anche la faccia da culo di consolarmi. Una comprensione che non mi aspettavo, perché se lui fosse un archetipo narrativo, senza ombra di dubbio sarebbe quello del Trickster. Quindi non avrei saputo cosa aspettarmi finché non avesse aperto bocca.

La comprensione — su ogni livello possibile di questa parola — non è arrivata però da quelli/e che, almeno sulla carta, sono come me (che poi come me un par di coglioni, ma questo è tutto un altro paio di maniche).

L’agire in branco, l’attacco di pura crudeltà, le insinuazioni sono invece qualcosa arrivato da quello che era lo spazio che invece avrebbe dovuto tenermi al sicuro. Un po’ come quando tuo marito ti corca di mazzate. Tutte dinamiche atte al trasformare l’attaccato in preda e che al 99% delle volte ci riesce (non sono affatto nuovi nel fandom casi di suicidio per eventi di questo tipo. Ripenso al fanartist arabo di Attack on Titan, doxxato al punto da rivelare la sua omosessualità alle autorità e costretto alla fuga dal suo paese, oppure alla fanartist erotica di Undertale a cui in una fiera venne offerto un sacchetto di biscotti nel cui impasto erano stati messi degli spilli).

Il dolo, qui, c’è stato sebbene non a livelli di danno fisico, un po’ perché non sono esattamente di primo pelo e notoriamente non ho alcun tipo di pazienza con gli stronzi. Infatti la mia risposta è stata disegnare ancora più incularelle, poiché come ama dire il mio fidanzato, sono fatta al 98% di odio, all’1% di acqua e l’1% di gattini. One shot, one kill.

Sì, esistono anche in forma gattini

Quello che più mi ha disturbata, in senso stretto, è stata l’insinuazione sessuale: se disegni queste due persone che scopano, allora hai qualche perversione, feticizzazione e vorresti scoparteli. Leggere queste parole, in salse diverse, è stato assurdo. Qualcosa che non avevo mai sperimentato prima, poiché questo si lega, tra le altre cose, alla mia sfera sessuale e alla mia identità di genere. Nel mondo del romance MM (i romance che hanno come protagonisti due uomini, che sono poi i libri che scrivo), per anni c’è stata questa credenza quasi mitologica che a scriverne fossero solo donne eterosessuali di mezza età con uno strano feticismo per i gay. Il tempo però ci ha rivelato ben altro, ma è un argomento troppo lungo per essere trattato qui.
In buona sostanza, queste cose si sono sovrapposte l’una all’altra come una specie di millefoglie di merda. Tutto, dalla mia persona, alla mia identità, tutto era stato messo sul piatto della pesa pubblica in quel momento.
Eppure il fatto che io, una donna relativamente giovane e non eterosessuale, scrivessi e disegnassi questo genere di cose per il semplice atto di creare e divertirmi non è mai passato per la testa a nessuno.

Non provo desiderio sessuale nei confronti né di uno, né dell’altro dei miei soggetti preferiti (e anche se fosse, ci sarebbe la conditio sine qua non dell’avere il physique du rôle per potermelo permettere, cosa che, è evidente, non possiedo. E poi cosa sono, un Vasco Rossi qualsiasi che scrive SLURP a Victoria in mutande su Instagram???), non c’è mai stata una self insertion della mia persona in tutto questo. Quello che scrivo e disegno non sono un diretto collegamento alla mia persona, altrimenti con questo ragionamento potremmo dire che tutti gli scrittori di thriller e gialli sono degli assassini. O che quelli che scrivono fantascienza sono pazzi che credono negli ufo. O che le donne debbano scrivere solo di quello che compete loro (mentre sia mai dire lo stesso a un uomo).

Un’altra cosa che mi è stata detta è “ma tu come ti sentiresti a sapere che c’è qualcuno che scrive o disegna roba zozza su di te?” Che è una cosa interessante, se non fosse che è già accaduto. Quando mille anni fa il p0rnfest era appena iniziato, esisteva l’RPF Fandom (ora abolito dal regolamento) dove si sono sprecate le fanfic porno tra me e gente con cui mi accompagnavo all’epoca. E pensate che non sapevano nemmeno che faccia avessi. Quindi utilizzare la reverse card di Uno su di me non funziona, spiaze.

Si parla di rispetto e decenza, ma allora io mi domando: cosa è più rispettoso e decente? Mettere la mia roba in un archivio dove solo i fan di quella cosa possano fruirne (o scegliere di non farlo) o andarlo a mettere sotto al naso delle persone rappresentate in nome di una moralità superiore che non solo non ha senso, ma è guidata dall’odio?

Anche perché sentirmi dire “guarda che non stanno realmente insieme” da ragazzine iper convinte e che fanno la guerra santa sul fatto che Damiano e Victoria stiano insieme per davvero ha un che di surreale mica da ridere.

Il Måtwt (il fandom dei Måneskin su Twitter, segmento che prendo a esempio perché è dove si è svolto il mio caso, anche perché perché non ha paragoni con le altre piattaforme) però è un luogo ameno e strano, su più livelli. Stiamo parlando di una fascia di pubblico tra gli undici (curioso, visto l’accesso a internet dovrebbe essere vietato prima dei tredici) ai ventidue, massimo ventiquattro anni. Per la maggior parte sono tutte ragazze (i portatori sani di pisello che non hanno problemi con lo stesso sono veramente molto pochi e, quasi sempre, ai concerti sono i fidanzati delle suddette) ed è interessante come la dinamica da branco che di norma è tipica degli uomini nella vita reale, su internet diventi una prerogativa tutta femminile. Parliamo di un fandom che ha un fanclub “ufficiale” che definire poco limpido è un eufemismo (sulle accuse che una di loro abbia maltrattato una fan disabile ci hanno sprecato milioni di tweet, tra cui quelli della vittima in questione) e che, quando è successo quello che è successo, non si è fatto problemi a mettersi dalla parte dei bulli, invece di mediare al buon senso.

La domanda è: il fanclub dei Måneskin aveva il dovere di mediare? La risposta è ovviamente no. Non è il loro compito, non me lo aspettavo neppure. Tuttavia non mi aspettavo nemmeno il gettare benzina sul fuoco.

Il mio percorso da fan creator è lungo e travagliato. Ho iniziato da giovanissima, quando l’internet era agli albori e, su Livejournal, iniziavano ad apparire le prime community (perché siccome sono un dinosauro, gli archivi non esistevano ancora). Un posto strano, ma magico. Un luogo dove avevamo ancora le mailing list perché in fondo siamo dei VecchiDiMerda™️.

Ho iniziato con Harry Potter, su un forum dedicato a Piton (e già qui avrei dovuto capire che questa faccenda degli uomini dai capelli lunghi un giorno o l’altro mi sarebbe sfuggita di mano). Non sapevo cosa fosse una fanfiction, volevo solo parlare con qualcun altro di quel personaggio che mi era tanto piaciuto. Poi ho scoperto il porno, ma suppongo che succeda a tutti almeno una volta nella vita.

Tuttavia ero giovane, ma anche deficiente. Il giorno prima andavo a scuola e il giorno dopo ho fatto la cazzata di sposare uno che aveva vent’anni più di me. Il fandom è quindi diventato questione di sopravvivenza, una valvola di sfogo. Tratteggiavo avventure fantastiche e improbabili, perché la vita reale era una merda e io, vestita di lividi, non sono mai stata bella (semi cit.).

Non c’è ombra di dubbio che il genere di arte che creo abbia un denominatore comune con il mio trauma, è psicologia spicciola di base che chiunque riconoscerebbe. Però come ho detto prima non è niente di personale in senso stretto. Come amava cianciare il mio professore di sceneggiatura, non si può essere buoni artisti se non si vivono esperienze, se non si vive. Quindi sì, il trauma, ma non mi definisce come persona, né soprattutto rende i miei fanwork come qualcosa che vada a riparare quel danno. Volevo scrivere storie interessanti, quindi ho solo usato pochi elementi che conoscevo, né più e né meno. Dopotutto, se dopo 30 romanzi che ho scritto, tutto quello che restasse di me fosse una mia esperienza negativa, mi girerebbero i coglioni che non ho. Esistono gli psicologi per queste cazzate.

Ma resta il fatto importante che la creazione di un fanwork è stato qualcosa di importante per me al punto da segnarmi nel cuore. E non è certo qualcosa che quattro stronzi su internet possono portarmi via. Sottovalutano il potere e la portata del mio rancore.

Questa è stata la prima cosa che ho disegnato su di loro, complice un prompt per un’iniziativa di un archivio.

Ossessionata

Una parola che ho sentito molto spesso, nella mia carriera di fan creator. Che ho sentito in generale rivolta a me per qualsiasi cosa facessi. Ora è una pletora di “sei ossessionata da Manuel Agnelli” e spiegare che non è così è difficile e complicato, soprattutto quando dall’altra parte manca la voglia e l’intenzione di ascoltare la risposta.

È vero, io mi ossessiono alle cose. Come potrei diversamente? Ho l’ADHD, il mio cervello funziona così. Non riesco a esplorare la musica, per esempio. Per me trovare qualcosa di nuovo da ascoltare è complicato, mi deve colpire al primo istante, altrimenti non è cosa. Quindi ascolto l’intera produzione di un artista/band a memoria prima di tentare di passare ad altro. Manuel è l’ultimo di una breve fila, si è solo andato a sedere di fianco a Johnny Cash, Edoardo Bennato, Caparezza, i Metallica e i Green Day (i Måneskin ci stanno provando fortissimo, lo ammetto, ma non hanno lo stesso potere).

Lo stesso accade nelle mie altre attività: ho sempre letto quasi solo romance, il vero grande salto l’ho fatto passando dall’FM all’MM, genere di cui scrivo. Sono solo pochi anni che mi sono imposta come regola (e quindi non è qualcosa che il mio cervello cerca attivamente, ma che mi obbligo a fare) di leggere altro. Quindi sono passata ai saggi: potete chiedermi qualsiasi cosa sulla P2, le BR, su Tangentopoli, sul rapimento Moro. Ho letto tutto, qualsiasi cosa mi capitasse davanti. Poi sono passata ai saggi femministi (cosa che sto ancora esplorando).
Non sempre funziona bene, sia chiaro. Quando ho cercato di fare lo stesso con la narrativa, poco prima di vedere Lazarus a Bologna per la prima volta, mi è sembrato adeguato leggere La notte del Pratello del suo compagno di merende Emidio Clementi.
Non è andata benissimo, scusa Mimì.

Mi è successo nelle serie tv o nei film. Iddio sa solo quanti disegni ho fatto sulle serie tv di Lucifer e di The Witcher (su quest’ultimo ho addirittura disegnato tre fumetti, quindi tell me more about l’ossessione). Nei videogiochi è lo stesso: ho prodotto una quantità invereconda di fanart su Mass Effect e Detroit Become Human (entrambi due capolavori, soprattutto il primo), su Overwatch e Dragon Age non stiamo manco a parlarne. Tutt’ora c’è Destiny, il mio videogioco preferito, al quale ho dedicato all’incirca 2800 ore della mia esistenza (non sto tirando a caso, è quantificato dalla mia X-Box), motivo per il quale ho deciso di staccare fisicamente la console dal muro e buttare via la televisione. Ora mi è permesso giocarci dall’account del mio fidanzato quando vado a casa sua, per poche ore ogni tre settimane.

Mi è successo con la scrittura. Ho scritto oltre 30 (trenta) libri con le mie coautrici, ma mi sono fissata solo con due di loro (Distorsioni e Kintsugi).

Io non riesco a essere trasversale.

Io sono a compartimenti stagni.

Purtroppo per me, oserei dire, perché non riesco fisicamente ad andare oltre a questo mio difetto, non riesco ad appassionarmi alle cose come gli altri. È vero, quello dell’hyperfocus è un dono. Se solo potessi applicarlo sul lavoro e non quello che piace a me.

In alcune interviste, Manuel ha parlato di urgenza creativa. Di essere coerenti solo a se stessi, alla propria creatività. Bene, questo è il motivo per cui non disegno fumetti di mestiere e le mie commissioni sono solo illustrazioni. Io morirei al pensiero di stare ferma sulla storia di qualcun altro per mesi, anche un anno intero (morirei comunque di fame perché il fumetto non è qualcosa che paga bene, per noi che non siamo famosi e siamo la bassa manovalanza. Infatti faccio tre lavori per campare. Sono tutti finocchi con il culo degli altri quando stai bene di famiglia).
Muoio già ogni giorno che devo mettere mano a libri non miei o del mio collettivo. Patisco come un cane quando devo colorare il fumetto di qualcun altro, anche se sono autori che amo moltissimo.

La mia urgenza creativa è quello di creare arte che piace a me, come piace a me, nei miei tempi, che sia qualcosa che sia in primis per me e poi, forse, che gli altri possano vedere. Ho già scritto fin troppi libri con la progettualità del fare cassetta, ho disegnato tantissimo su commissione, almeno questa “ossessione”, se così vogliamo chiamarla, lasciatemela libera dalle catene del “non dovresti farlo perché bla bla”. Stocazzo.

Sì, ma in conclusione?

L’esperienza in un fandom è qualcosa di prettamente personale. Manuel Agnelli è stato il mio MacGuffin per questo articolo, mi ha permesso di poter finalmente parlare “con il cuore in mano” di una situazione che non solo esiste, ma che ha un peso nella società di molti individui.

Doveva essere una cosa molto più breve (e invece mi sono ritrovata a fare la sociologa del fandom e stronzopologia), ma vorrei ringraziare tutte le persone che mi stanno contattando dal momento in cui ho pubblicato per gli interessanti spunti che meritavano di trovare spazio e validità perché ora più che mai è importante mostrare le dinamiche di un mondo underground, che si muove più o meno proprio come la musica alternativa. Se l’unica cosa in cui sono brava, ovvero le parole, è servita a qualcuno, allora vuol dire che ho fatto bene il mio lavoro.

Mi rendo inoltre conto che, a un occhio meno attento, questo articolo possa suonare come una lunghissima supercazzola in cui io cerco di giustificarmi con Manuel Agnelli per averlo disegnato limonare con Damiano dei Måneskin, ma non è così. L’ho già detto diverse volte, anche in occasioni diverse da questa, ma le parole sono importanti e ci aiutano a definire il nostro mondo. Di conseguenza non ho alcuna necessità di giustificarmi, tuttavia ho la necessità di spiegare i fatti così come sono. Perché in un mondo dove è d’uso inventarsi le notizie e usare le AI per fare i deep fake, il dovere di cronaca diventa un atto di coraggio.

Concludo con un grazie Manuel e un grazie Damiano: alla creatività, che non muoia mai, in qualsiasi forma essa nasca. E che sia offensiva, divisiva sempre, perché altrimenti non è arte, ma marchetta.

L’unica fanart che non è mia. Non so di chi sia, ma le/gli voglio bene.

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Daniela Barisone
Daniela Barisone

Written by Daniela Barisone

Italian, 37. Writer for Lux Lab & Quixote Edizioni. Fanwriter and proud. https://lnk.bio/queenseptienna

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