[Racconto] Atroce
19 agosto 2019 – 19 dicembre 2024
L’impianto è vecchio, ma fa ancora benissimo il suo lavoro. È nero, grosso e ingombrante, con le rifiniture cromate dei pulsanti che ormai si stanno scrostando nei punti in cui ha premuto il dito, infinite volte, mostrando sotto la plastica dura e giallina. Ogni tanto si inceppa e deve tirargli un pattone sul fianco per farlo ripartire, ma di una cosa è certo: non lo cambierebbe per niente al mondo.
C’è una certa sensazione di rassicurazione che si forma nell’animo di fronte alle cose semplici. Come l’infilare una penna – rigorosamente una penna Bic – dentro il foro di una cassetta e, con tanta pazienza, tirare il nastro avanti e indietro, per posizionarlo nel posto giusto. O l’attaccare un’etichetta su cui scrivere, sempre con la stessa Bic blu, il titolo dell’album, scopiazzato dalla cassetta originale che deve restituire a un amico.
Scrive Electrics Ladyland – Jimi Hendrix con grafia ordinata, mentre dalle casse del vecchio impianto si diffonde Baba O’Riley dei The Who, una delle sue canzoni preferite (ma il suo preferito rimane Hendrix e la sua All along the watchtower, perché ha degli standard). Sul bancone il gatto color cipria sonnecchia tranquillo e il Custode sbuffa con un sorrisetto. Riesce a ricordarsi le sue stesse parole, così lontane nel tempo al punto da essere un’altra vita, quando diceva “Non voglio gatti sul tavolo”.
Ma per favore.
Proprio lui, poi. Un gattaro fatto e finito. I Simpson avevano descritto la figura della gattara come una donna isterica circondata da bestie miagolanti, quando la verità è che avrebbero dovuto descrivere lui. Sarebbe stato perfetto nel ruolo.
Perfetto come il suo gattone, assonnato e con il pelo piumoso. Non resiste e molla la cassetta, in favore della compatta su cui ha fin troppe foto e che dovrebbe imparare a svuotare. Il click dell’otturatore risuona troppo forte nell’atrio del Sesto Motel, che è silenzioso come una tomba, come dovrebbe sempre essere.
Per questo ascolta la musica, per non ascoltare il silenzio, perché chi lo sa cosa si nasconde in esso. Niente, ecco cosa. Il nulla assoluto, quello che spaventa la gente. Ma lui non è la gente, quindi niente che possa preoccuparlo.
Nel tempo che la canzone giunge al termine, il Custode ha scattato un numero vergognoso di foto. Ma che può farci, i gatti sono così belli! Immortalarne la bellezza e lo spirito è uno dei suoi compiti preferiti, alla fine della giornata.
“In dua l’è el to fradèll?” domanda al gatto color cipria, guardandosi in giro.
C’è un altro gatto lì dentro che gli tiene compagnia. È bianco e grigio, con gli occhi verde/gialli. All’inizio pareva una bestia grama, ma la verità è che un bravo gattino se lo si sa prendere nella maniera giusta. Non è che siano davvero fratelli, ma si è abituato a pensare che lo fossero.
C’è anche una gatta da qualche parte, una marmorizzata marroncina che va e viene quando le pare, capace di uscire dal Sesto Motel anche quando lo chiude per uscire. Come faccia è un mistero, ma lei era lì prima che arrivasse il Custode, quindi ha senso che ne sappia più di lui in merito.
Il gatto sbuffa dal naso e muove pigramente la testolina verso il corridoio, come a dirgli “Perché mi fai domande ovvie, stupido Custode, non ce la fai da solo?”
Il Custode segue il movimento e apre la bocca, ma la richiude di scatto quando la musica smette di uscire dalle casse, c’è un fruscio e poi il clack secco della cassetta che è arrivata a fine corsa.
È a quel punto che lo sente.
Un lieve grattare, un suono che non dovrebbe esserci. Spera solo che non siano di nuovo i due Agenti del 7 che usano il suo motel come se fosse… beh, tale.
“Sa ghè” borbotta, avviandosi con passo pesante nel corridoio. La gamba gli manda una fitta, un dolorino abituale dovuto da una gamba più corta dell’altra. Niente che possa fermarlo.
A metà corridoio sorride.
Il gatto bianco e grigio è davanti alla porta del 7 e graffia con una zampina il legno della porta che ha visto giorni migliori. Se fossero i due Agenti sarebbero già venuti fuori, ma la porta è ben chiusa e il gatto non si muove da lì.
“Oh…” mormora all’animale, con una smorfia. “L’è vun di quei dì, vero?”
L’animale si limita a far vibrare la coda e a fissarlo come se fosse scemo. Cosa che fa spesso, quindi ormai dovrebbe esserci abituato.
Di solito la porta si dovrebbe aprire da sola e, qualsiasi cosa ci sia al suo interno, dovrebbe entrare nel Motel di propria sponte. È la regola. Certo, si potrebbe disquisire sul fatto che quella stanza veda più viavai per colpa di certe persone in possesso del suo Campanello, ma il Custode si rende conto che non è uno di quei giorni.
Con un sospiro apre la porta e infila le scarpe macchiate dalla vernice sulla soglia, per evitare che si chiude. C’è una persona, seduta sul letto, una donna, insieme a un altro gatto degli stessi colori di quello che gli sta alle calcagna. A differenza del suo è quasi completamente grigio, con la parte inferiore bianca.
“Ta gh’è da farlo vegnì in chì, lo sai” dice, cercando di usare un tono morbido che però suona un po’ come se stesse borbottando. Sua moglie glielo diceva sempre. “Prima al ta fà, prima la passa.”
Lei alza la testa e la scuote. “Non voglio.”
“Al so, piscinina. Ti ta se mai pronta per ‘ste cose.” Incrocia le braccia al petto, per impedirsi di muovere un passo avanti. Non può, soprattutto in questo caso. Ci sono cose che nemmeno lui, che è il Custode, può cambiare. “Da ma tra: l’è mei par ti e per lü.”
“Te ne ho già dati tre, non sono ancora abbastanza?” chiede lei, afflitta.
“Du. Ta ma na da du. L’altra l’era già chì.”
“Sì, lo so. E per lei ti ho dato Mika e me lo hai portato via!” esclama lei. “Perché non ce la facevi a stare qui da solo, quindi ti sei preso pure lui. E poi anche Cigolo, che manco ti piaceva e dicevi sempre che una rottura di coglioni, però ti piaceva lo stesso.”
Il Custode abbassa lo sguardo verso il gatto bianco e grigio che gli si è seduto di fianco ai piedi. È immobile come una statua. “Eh. L’è no un bel post, chì, quand ta s’è solò.”
“E perché deve essere sempre un mio problema, eh?” chiede lei. “Non è giusto. Non è giusto. Ti stai prendendo tutti tranne me.”
“Ti ta se piscinina. Troppo. Non l’è ancora ora par ti.”
Lei si gira verso il gatto ancora sul letto e gli accarezza la schiena. “Anche lui è piccolo. Ha solo cinque anni.”
“Il tempo l’è no l’istèss par mi, al ta savei già.”
“Non è giusto” ripete lei, per l’ennesima volta. “Non è giusto.”
“No, l’è no” le dice, indeciso se muoversi o meno. Vorrebbe toccarla, rassicurarla, ma l’ultima volta che ci ha provato è stato deleterio. Vorrebbe spiegarle per l’ennesima volta che tutti passano da quella stanza o dalle altre, prima o poi, ma alla fine si decide a dirle la verità. “L’è l’unica maniera ca gh’hoo per vederti.”
Lei si volta, disperata. Ha ragione a esserlo, alla fine. Se la ricorda ancora quando era nata, era tutto tranne che piccola, era già una gigantessa appena venuta al mondo. Tutti si erano impressionati quando l’avevano vista e, crescendo, era diventata troppo simile a lui. Diventando grande aveva preso tutti i suoi vizi, tutti i suoi vezzi, tutti i suoi difetti, tra cui l’incapacità di lasciare andare.
“Io non mi ricordo nemmeno che faccia hai.”
Il Custode sorride e abbassa il mento. È una cosa normale quella, anche perché chi ha una forte immaginazione come quella di lei. Anche le persone più care perdono il volto nella memoria, quando non sono più in giro. Quando rialza la testa fa un passo dentro la stanza e si avvicina al letto. “Vardàte nello specchio, dame retta. Ora, al so che ti ta s’è una nana generôsa, ma el misc ga da venì al Motel.”
“Per favore.”
“Ghe pensi mì a Nevada. Ta ghe da pensà che par ti i gatt son un capitolo della ta storia, ma per lur ti ta s’è l’intero liber della loro vita. E la sua vita, con tì, l’è stata meravigliosa perché nissùn ama ‘ste bestie tanto quanto te.”
Lei lo fissa, furiosa. Fa bene a esserlo, è giusto. Prima o poi le passerà, succede sempre. “Vaffanculo.”
Va bene, meritato. Il Custode alza le mani e sorride. “Ta s’è propri la mia bestia. Dai, adasi adasi e smetterai di portarme gente. Prima o poi ta verrai da sola.”
“Ho paura di venire qua da sola. Sono terrorizzata alla sola idea.”
“Solo perché ta sa già ca ta fà laurà nel Motel” le dice. Dopo un attimo di indecisione le appoggia una mano sulla spalla e la stringe brevemente. Non è mai stato bravo con lei, non le ha mai dimostrato l’affetto che si meritava. Sperava che mantenere una certa distanza l’aiutasse a farsi una corazza, ma alla fine l’ha solo mandata in guerra vestita con un sacco della spazzatura. Che può andare bene contro l’acqua o a non far passare il vento, ma i cazzotti se li è presi proprio tutti nei denti. “Passerà. Tal giuri.”
“Non è vero un cazzo che passerà” ringhia lei. “Rimane sempre, come un coltello sotto le costole, pronto a farti malissimo nei momenti meno opportuni. E quando te ne dimentichi fa male il doppio quando te ne ricordi, perché sai cosa fa più male? I sensi di colpa.”
“Ta ga niente da sentìrti in colpa.”
“Non mi ricordo più di te.”
“Solo la mia faccia” le mormora, accarezzandole i capelli. Sono castani quando entra nella stanza, non rossi come le piace tingerseli fuori da lì. “Ti ta sa tutt de mì. E io so tutt da ti. Dai, l’è ora.”
Lei si gira verso il gatto e gli accarezza il manto. È allergica ai gatti, lo è sempre stata, ma ha preferito soffrire tutti i giorni della sua vita pur di rendere felice quelle bestie che entrambi amano più della vita stessa. Altri sarebbero quasi morti al suo posto, ma non lei. Lei ha forgiato il suo fisico per quello scopo, come lui è diventato il Custode per assolverne un altro.
Dopo un tempo che gli pare infinito, lei si volta verso il gatto e si abbassa per dargli un bacio sulla testolina. Lui alza il muso e ricambia, con una testata che serve a marchiarla del proprio odore. “Okay. Okay, va bene. Vai, allora.”
Il gatto si alza e zampetta giù dal letto, sgusciando tra le gambe del Custode. Si volta solo una volta sulla soglia, prima di passare di fianco all’altro gatto ed entrare nel corridoio. Il Custode si china su di lei e le accarezza una guancia. “Fagli un funerale vichingo, ti ta fa sempre le cose migliori. O i discorsi.”
“Lo farò” promette lei, senza guardarlo. “Ora chiudi quella cazzo di porta.”
Con un sospiro, il Custode obbedisce. A differenza del micio non si volta a guardarla, non lo fa mai, si limita a chiudere il battente e lasciare che la stanza faccia la sua magia. Si lascia alle spalle il numero 7 di ottone lucido e si avvia nel corridoio che lo riporta alla reception, insieme ai due gatti. Ma è al suo che decide di parlare. “Uè, Cigolo. Ta sarà felice d’aver chì al to fioeu.”
“Mrrrew” annuisce il gatto, in direzione di Nevada. Sono proprio padre e figlio.
Il Custode sorride. Prima o poi anche lui potrà fare lo stesso.
Adasi adasi.