[Recensione] Sangue alla terra — Luca Mortali
Ora ho voglia di rimettermi a scrivere western pure io.
Ho conosciuto Luca Mortali (all’anagrafe Luca Vitali) su Scripta ancora prima di sapere che fosse “quello delle spade” su Instagram o che scrivesse in generale.
Successivamente mi sono ritrovata a fare una live con lui su “Romance e Grimdark” per saggiarne le differenze e le cose simili. Posso dire infine che a me Mortali è piaciuto subito perché mi piace come parla e come espone le cose, una qualità che gli invidio parecchio. È stato proprio durante questa live che ha detto di aver scritto Sangue alla terra, un weird western (onestamente è bastato questo per vendermelo all’istante) che, come si evince dal nome, è molto sanguinolento.
Voi lo sapete, scrivo romance. Ma romance non significa vivere in un mondo rosa e cotonato, anzi, me ne tengo ben lontana. A me piacciono le cose crude e, una cosa che amo tantissimo, è il western. Chi mi conosce da tempo ha dovuto sucarsi i miei tre anni alla Comics in cui l’unica cosa che disegnavo erano pistoleri (actually un fumetto western è stato di base il mio esame di fumetto) e ho vissuto con due genitori di cui uno grande appassionato di film western e l’altra ferocissima lettrice di Tex.
Succede poi che, quando sono andata alla presentazione di Sangue alla terra, io e Luca abbiamo fatto uno scambio: un western in cambio di un romance, ma mi sa che quella che ne è uscita meglio sono stata io nel ricevere il suo libro.
Poi, per prepararmi alla presentazione del libro, avevo mal pensato di leggermi un altro libro western, una roba terribile, bonus è da agosto che leggo solo libri di merda, quindi capite che le aspettative nei confronti di Sangue alla terra erano alte perché mi meritavo una (1) gioia.
Durante la presentazione, Luca ha affermato di essersi ispirato a La Rivolta di Hopfrog e altre storie, di Christophe Blain e David B. per l’aspetto fisico dei suoi protagonisti, il professor Roger Cavendish-Bloom e Muto. Quindi sono andata a cercarmeli… e sono esattamente quello che pensavo che fossero, perché il western ha i suoi stilemi e non deludono mai.
Trama
Il professor Roger Cavendish-Bloom, studioso di scienza paranaturale, viene chiamato a Lumber City per investigare sulle misteriose e inspiegabili sparizioni di alcuni bambini.
Chi meglio di lui può scoprire cosa sta sconvolgendo la quiete di quella terra remota? Ma Roger è solo un uomo, anche se vorrebbe essere come i cavalieri dei romanzi che legge, ed è in fuga dalla sua stessa natura.
In compagnia di Muto, l’amico che è quasi la sua ombra, si scontrerà con il cuore violento della cittadina, il giudice Wesker, e con i misteri celati sotto la neve. Perché quando la terra brama il sangue, lo ottiene sempre. In un modo o nell’altro.
Il libro
I due protagonisti, Roger Cavendish-Bloom (in seguito solo Roger) e Muto, sono un professore e il suo assistente navajo che, da quanto ho capito, si occupano di studiare e “risolvere” problemi legati alle Anomalie che si sviluppano un po’ in tutto il mondo. Queste Anomalie sono di vario tipo, fanno il loro tot di danni e sono state la prima cosa che ha attirato la mia attenzione perché voglio dire, questa storia potrebbe benissimo essere “il passato” della mia Agenzia. E io ho tre neuroni quando si parla di queste cose.
Sebbene queste Anomalie non vengano mai spiegate troppo nel dettaglio (e questo è un punto a sfavore per me, ma solo perché io ho il potere del cristallo d’autismo e mi piace approfondire, in realtà la storia funziona benissimo così), noi sappiamo che sono pericolose, ma anche misurabili dallo strumento che Roger e Muto si portano appresso. E quello che registrano una volta arrivati a Lumber City non ha niente a che vedere con ciò che hanno già affrontato in passato. Aggiungiamoci poi i problemi con i nativi locali, accusati di essere i rapitori dei bambini (e qui ho molto amato la critica sociale che Luca ha inserito, ricordandoci come non fosse mai stato considerato rapimento, da parte dei bianchi, sottrarre infanti alle tribù per battezzarli contro la loro volontà) e il piatto è servito.
Sebbene non necessarie al funzionamento della storia, avrei preferito qualche aneddoto in più che parlasse di queste precedenti avventure in modo da arricchire un worldbuilding che ha parecchie potenzialità.
Nel libro è presente anche un personaggio femminile, Ava, dai risvolti assolutamente non scontati sulla quale non posso dire molto perché sarebbe un grosso spoiler.
In relazione ad Ava però Roger sembra un po’ un morto di figa, mentre il suo rapporto con Muto è costruito in modo molto più solido, motivo per cui Ava avrebbe beneficiato di una spintarella in più, mentre Roger dovrebbe imparare a tenerselo nelle mutande.
Luca esplora un tema a lui caro e che anche a me piace trattare quando per esempio scrivo omegaverse (mi piace l’idea di aver trovato un “fratello” sebbene scrivendo cose diverse), ovvero l’eterna lotta tra il raziocinio e la bestia, l’animale che vive dentro di noi, il richiamo della violenza, il predatore e la preda.
Un grande pregio di questo libro è lo stile di scrittura. Luca ha una prosa agile che riesce a portare il lettore esattamente dove vuole lui e a suscitargli le emozioni che vuole vengano provate. C’è un abile crescendo che porta all’iperviolenza finale senza la necessità di una scrittura inutilmente complicata e confesso che è stata una boccata d’aria fresca dopo le mie ultime letture. L’ho letto in pochissimo tempo, presa sia dalla storia che dalla forma, che è servente al contenuto e non sostitutiva a essa.
Questo libro è scritto bene.
Si poteva fare di meglio? Senza ombra di dubbio, si può sempre fare di meglio, ma questo è anche il primo libro che Luca ha pubblicato e, personalmente, lo ritengo un ottimo esordio.
Mi auguro solo che l’autore decida di espandere l’universo narrativo di Sangue alla Terra, anche perché vorrei leggere altre avventure di Roger in questo universo narrativo. Ma tanto qualcuno ci scriverà una fanfiction sopra (vedi dopo).
Vorrei fare inoltre i complimenti a Clara Guerrini, l’illustratrice della copertina. La cover è un eccellente esempio di “ti sto raccontando tutta la storia, ma ancora non lo sai” ed è stato molto bello riguardarla in retrospettiva a libro finito.
Il citazionismo cosmico
Luca ha già dichiarato nella sua prima presentazione qual è stata la sua primaria ispirazione, ovvero il fumetto che cito a inizio articolo, tuttavia mi sono divertita a immaginarmi il resto degli ingredienti di questo piatto letterario. Queste sono quello che io ci ho trovato dentro, ma non significa necessariamente che questa roba ci sia davvero.
Più che uno spaghetti western, questo libro mi ha ricordato moltissimo Bone Tomahawk (che è un horror western lentissimo, esasperante, nonché inesauribile fonte del mio “durello interiore” nei confronti di Kurt Russell. Non sembra, ma è un complimento) per le vibes con cui si costruisce l’andamento della storia.
La violenza, lo strappare la bestia dalla logica invece è qualcosa che avevo già apprezzato in Crossed di Garth Ennis (ma solo alcuni numeri), sebbene qui non ci sia nulla di simile agli Scrociati. Sono i concetti e le vibes che mi parlano all’anima.
Le Anomalie, quel qualcosa che si nasconde nel buio e che potrebbe inghiottirti da un minuto all’altro in una spirale di violenza indicibile, mi hanno invece riportato alla memoria il Pale di Disco Elysium, anche perché Muto è un perfetto Kim Kitsuragi e, sebbene Roger non abbia nulla a che vedere con Harry, Lumber City potrebbe essere la versione di frontiera di Revachol.
So che Luca non ha mai giocato a Disco Elysium (prima di scrivere questa recensione gliel’ho chiesto), per cui trovo ancora più affascinante come la passione per l’ignoto sia presente in tutti noi.
Gay ingenui
Potrebbe benissimo essere il sottotitolo di questo romanzo.
Una cosa che mi è particolarmente piaciuta di questo libro è il rapporto tra Roger e Muto, un’amicizia forgiata nel sangue e nel fuoco, ma che di virile non ha proprio niente. Anzi, Luca ha un talento: è riuscito a scrivere di un rapporto tra uomini (che per mio enorme dispiacere non sono amanti) che si vogliono bene, senza tutte le stronzate da macho che di solito permea la maggior parte delle relazioni maschili.
E questo mi ha rinfrancato durante la lettura, perché confesso che non è qualcosa che mi aspettavo di trovare in un romanzo scritto da un uomo (sì, ho dei pregiudizi e sì, c’è un motivo per cui ce li ho).
«Capisci perché non te l’ho detto?» Muto si stacca dalla finestra e parla piano, come per non disturbare il prete. «Tu saresti rimasto qui. Tu vuoi ancora rimanere qui.»
Nonostate tutto mi viene da sorridere. «Tu no?»
«No.» Di nuovo quel dolore mescolato alla rabbia, nella sua voce, come prima. «No, voglio andare via, voglio portarti via.»
«Perché? Non ti sei mai tirato indietro, perché farlo ora che ci sono altri nativi come te in pericolo?»
«Perché io ho te, Roger.» Si raddrizza e mi guarda in un modo tanto indecifrabile che non so se vogli adarmi un pugno o abbracciarmi. «Ho solo te. Non ho un’altra casa in cui tornare.»
Ora, a prescindere dalla mia tendenza a frocizzare qualsiasi cosa io tocchi come una sorta di Re Mida queer come mi dice sempre il Santucci, ho riflettuto su quello che io e Luca ci siamo detti durante la live e quanto potesse bastare poco per cambiare completamente le carte in tavola di un romanzo.
Per cui sì, per assurdo, con un paio di cose piazzate qua e là, questo libro poteva essere anche un romance.
Bravo Luca.
Signor editore, dobbiamo parlare
Arriviamo poi a una minuscola critica che invece mi tocca fare all’editore. L’impaginazione di questo libro è stata purtroppo un po’ cannata, perché a parte la mancanza di capolettere a inizio capitolo (questa è una fissa estetica mia, lo confesso), il testo è posizionato troppo verso il centro.
Perché è un problema, direte voi? Perché quando si impagina un libro, il margine centrale deve sempre essere più largo rispetto al margine esterno per tenere conto dell’incollatura (o della cucitura) delle pagine, mentre qui abbiamo un margine interno di 1,5cm contro un esterno di 2,5cm (sì, l’ho misurato perché faccio anche queste cose, è per questo che non ho amici) con il risultato che la parte del testo in mezzo al libro è a pochissima di distanza da dove si piega la pagina, rendendomi la lettura faticosa e con l’obbligo di spaccare il libro a metà per leggere bene (questo soprattutto nella prima e nell’ultima parte del libro, verso il centro perde un po’ questo effetto), che è una cosa che odio fare.
Lo so, sono un mostro che scrive sui libri. Però mi serviva per far vedere uno degli altri problemi in cui sono incorsa nel testo (non so se è un problema della mia copia o meno), ovvero in tutte le pagine ci sono sempre 3/4 righe stretchate, non so come descriverlo, come se quella frase sia stata schiacciata.
Poi c’è la sillabazione automatica per andare a capo che ha fatto un po’ le bizze. Il primo esempio che mi viene in mente è co-wboy (dovrebbe essere cow-boy, perché è l’unione di due parole).
Mi ha dato veramente fastidio durante la lettura. Ma tipo tanto.
In conclusione
Sangue alla terra è stata una buona lettura. Se dovessi darle un voto sceglierei 4 solide stelline su 5.
È anche la dimostrazione che il fantastico italiano non è morto, ma vive benissimo e non si fa sempre i rasponi a due mani nell’autocompiacimento.
Il libro è ordinabile su Amazon per 12,99 euro e ve ne consiglio la lettura.